Il paziente è un giallo molto estremo: il protagonista è un neurochirurgo di chiara fama dalla storia drammatica, che lo ha reso cinico ma dotato di un profondo senso di giustizia. Quando si scontra con un assassino sociopatico che costruisce i suoi crimini su commissione allo scopo di dimostrare le sue tesi malate, comincia un duello senza esclusione di colpi, una corsa contro il tempo che, malgrado la genialità del dottor David Evans, sembra portare inevitabilmente verso il terribile epilogo programmato da Mr. White. Ma come in ogni giallo che si rispetti, l’imprevedibile è dietro l’angolo… […]
Il Chirurgo è un romanzo breve, ambientato in Spagna in un non meglio definito futuro distopico.
La storia rispetta i canoni del cyberpunk: nel mondo la tecnologia è progredita di qualche decennio; le intelligenze artificiali e i robot hanno assunto un ruolo centrale nella società sostituendo molti lavoratori umani, con tutti i disagi sociali che ciò comporta. È stata ripresa dal cyberpunk anche l’idea delle grandi corporazioni costantemente “in guerra” tra loro al fine di massimizzare i profitti e vincere la concorrenza.
Nel romanzo seguiamo le vicende di una delle spie di queste megacorp, intenta ad indagare sul segreto del Chirurgo. La “scoperta” di quest’ultimo – per chi ha masticato qualche prodotto del genere – richiama alla mente Altered Carbon, una soluzione per vincere la morte, trasferendo la coscienza da un corpo a un altro.
La storia comincia con un fattaccio, nel quale il protagonista si trova invischiato, e un conto alla rovescia che procede lento ma inesorabile; le conseguenze del raggiungimento del fatidico 100% sul device del Chirurgo sono avvolte nel mistero. […]
[…] Nonostante lo sviluppo per certi versi piuttosto scontato, nel complesso la storia raccontata da Christelle Dabos non mi è dispiaciuta. Il problema, secondo me, è il ritmo della narrazione, che ho trovato troppo lento; inoltre i fatti realmente importanti si contano sulle dita di una mano: ammetto di aver saltato un po’ di pagine durante la lettura (cosa che di solito non faccio mai) dal tanto che ho trovato alcuni passaggi noiosi. Io non sono un’amante dei libri con un ritmo lento, però se la lentezza è compensata da una storia ricca di avvenimenti rilevanti (come potrebbe essere il caso di Shadowhunters) trovo comunque la lettura piacevole; purtroppo nel caso de Fidanzati dell’inverno non é stato così. […]
Siamo in Austria all’inizio degli anni Venti e Ernestine Kirsch è un’insegnante in pensione che, per un inaspettato colpo di fortuna, si trova a partecipare a un esclusivo weekend di beneficienza sulle Alpi con incluse lezioni di tango. Appassionata di danza (anche se priva del minimo senso del ritmo e della grazia), Ernestine coglie l’occasione al volo, e anzi trascina con sé l‘amico di una vita, il farmacista Anton Böck.
Fin dal principio la protagonista si presenta come una novella Miss Marple: non più giovane, è però dotata di un eccezionale spirito di osservazione, di grande intuizione e della necessaria voglia di ficcare il naso nelle faccende altrui. Ed è proprio per questo che, quando uno dei ricchi ospiti del lussuoso Grand Hotel Panhans viene ucciso e la polizia non riesce ad arrivare sul luogo a causa di una tormenta di neve, Ernestine decide di prendere in mano il caso. Il povero Anton – come ogni buon Watson o Hastings che si rispetti – non può far altro che dar corda dall’esuberanza dell’amica, fornendo qua e là qualche goffo aiuto e gustandosi al meglio le ottime cene offerte dall’hotel. […]
Nico é sempre stato il mio personaggio preferito all’interno del mondo creato da Rick Riordan (a parte Percy, ovviamente), perciò quando ho letto che sarebbe uscito un libro dedicato proprio a lui non ho potuto che fare i salti di gioia. Inizialmente ero un po’ scettica sul fatto che il romanzo sarebbe stato scritto a quattro mani da Riordan e Mark Oshiro, infatti – io che amo la scrittura del primo – temevo che la voce di un altro autore potesse in qualche modo rovinarla… insomma volevo godermi soltanto il mio caro zio Rick. In realtà devo ammettere che il risultato finale non mi è dispiaciuto affatto. […]
La terza media sta per iniziare e la professoressa Maria (è il cognome, come chiarisce subito la protagonista) ha chiesto ai suoi alunni di scrivere un tema per raccontare se stessi e la propria famiglia. Questa richiesta manda Fairùz, voce narrante e personaggio principale di questo libro, un po’ nel pallone: come può spiegare la sua storia senza risultare troppo “strana”? Da dove partire? Cosa la definisce di più? Eh già, perché la sua identità non è chiarissima nemmeno a lei: italiana di origini arabe (il papà è giordano, la mamma palestinese ma nata in Kuwait…), musulmana, un po’ timida, il suo nome significa turchese (come il colore e la pietra), ha un fratello, due sorelle (una molto gentile, l’altra non troppo)… quali di questi elementi sono più importanti? Tutto il libro è un viaggio alla scoperta di se stessa, un percorso per rispondere alla domanda “chi sono io?”. […]
Questo libro riporta i risultati di un ricerca qualitativa condotta tramite interviste con madri che si definiscono “pentite”. Non credo abbia senso scrivere una vera e propria recensione di un saggio del genere, perciò mi limiterò a mettere in risalto alcuni punti che ritengo particolarmente rilevanti e che aiutano a riflettere sulla condizione di madre.
1. Le donne intervistate dalla sociologa Orna Donath sono pentite della maternità, non dei propri figli, ovvero: odiano lo stato di madri e preferirebbero non essere mai diventate madri, ma non odiano i propri figli. Può risultare difficile da comprendere, ma è importante. Per semplificare molto: vorrebbero che i figli non fossero mai nati e sarebbero contente se potessero farli sparire come per magia, ma non vorrebbero ucciderli. Non stiamo parlando di potenziali assassine, bensì di donne che non vogliono i figli che purtroppo hanno. […]
Anche in questo romanzo non mancano i marchi di fabbrica di Ali Hazelwood: ambientazione nell’universo STEM, un protagonista maschile davvero enorme (e dal cuore di panna), una storia d’amore enemies-to-lovers coi fiocchi. Gli ingredienti ci sono tutti, e come sempre funzionano bene.
La protagonista di questo romanzo si chiama Elsie, è una professoressa di fisica a contratto e nella vita di tutti i giorni… arranca per stare a galla. In tutti i suoi libri l’autrice accenna alle difficoltà economiche di chi lavora nel mondo accademico, ma in questo volume ha deciso di trattare il tema in modo più esteso, sottolineando più volte la precarietà della condizione di Elsie e rendendo il suo personaggio una sorta di manifesto contro questa situazione. Lavoro a parte, la protagonista ha anche un’altra caratteristica piuttosto rilevante: non riesce a fare a meno di compiacere gli altri; è brava a leggere il “pubblico” che le sta di fronte e cerca sempre di dare agli altri la versione di lei che preferiscono. […]
Lo dico chiaro e tondo: The Dead Romantics è stato una grandissima delusione. Prima di iniziare a leggerlo avevo aspettative piuttosto alte, che purtroppo non sono state per nulla soddisfatte. […]
Ciò che inizialmente aveva attirato la mia attenzione era l’elemento paranormale della storia: la protagonista, Florence, è infatti capace di vedere i fantasmi e finisce con innamorarsi proprio di un fantasma. Insomma, mi era sembrato un modo originale di inserire l’aspetto sovrannaturale in un romance senza ricorrere ai soliti demoni, vampiri, lupi mannari… Leggendo il romanzo però ho completamente cambiato idea: non mi è piaciuto come l’autrice ha trattato questa componente, cioè in modo molto confusionario e con una spiegazione finale poco convincente. […]
[…] Concentriamoci però ora sul capitolo finale della trilogia The Last Hours, degna conclusione di una saga che mi ha convinta pienamente fin dall’inizio. Un primo punto di forza del romanzo (e più in generale di tutta la trilogia) è la semplicità della trama: fin da subito la Clare ha costruito una storia chiara, ma non per questo noiosa o eccessivamente prevedibile. Ho apprezzato anche la scelta di mettere spesso al centro le relazioni tra i personaggi, infatti proprio come nei due precedenti romanzi anche in questo la scrittrice ci regala un’abbondante dose di romance… e a una romanticona come me ciò non può che piacere! […]
Agatha Christie nel 1926 sparì per dieci giorni. Polizia, giornali e pubblico si mobilitarono per ritrovarla. La versione ufficiale dice che soffrì di amnesia e si allontanò da casa. La versione non ufficiale (ma poi non così improbabile) di Marie Benedict invece racconta di una donna geniale che mette in piedi un piano perfetto per incastrare e punire il terribile marito (per di più adultero) che per anni l’ha fatta soffrire. In questo romanzo l’autrice avanza una spiegazione che tiene conto di Agatha Christie come donna, ma anche e soprattutto come mente sopraffina in grado di creare le più brillanti trame poliziesche della storia del giallo. […]
Enniscorthy, anni Cinquanta: in questa cittadina irlandese non c’è lavoro per nessuno, e Eilis Lacey non ha davanti a sé grandi prospettive per il futuro. È una giovane donna brava a far di conto, paziente e senza particolari guizzi nelle sue giornate. La sorella maggiore Rose, suo modello quasi irraggiungibile di perfezione, lavora come contabile, mentre i fratelli maschi sono tutti emigrati in Inghilterra per cercare lavoro. Per Eilis arriva però un’opportunità inaspettata: Padre Flood le ha trovato un posto di lavoro e un alloggio negli Stati Uniti. È arrivato il momento di partire e scoprire una nuova vita. […]
Questo libro ha tutte le carte in regola per essere un ottimo romance, eppure qualcosa non mi ha convinta. Non che sia brutto – non lo è affatto, anzi, è molto carino – ma non mi ha conquistata a pieno. Forse perché mette insieme fin troppi elementi: una relazione enemies to lovers, la scoperta dalla propria sessualità, la politica internazionale… Ecco, sì, forse è proprio quest’ultimo punto ad avermi lasciato un po’ perplessa. Ma andiamo con ordine. […]
Dopo questa intensa rilettura, il mio verdetto rimane invariato: preferisco Poirot!
Ho letto per la prima volta qualche racconto su Sherlock Holmes quando andavo alle scuole medie, non ne sono rimasta colpita e ho deciso di passare ad Agatha Christie, che è diventata in breve tempo la mia giallista preferita.Nel corso dell’ultimo mese mi sono dedicata a una lettura completa di tutti gli scritti di Sir Arthur Conan Doyle sul suo celebre investigatore londinese e… continuo a preferire Poirot. […]
Ho scoperto questa storia grazie alla serie tv HBO uscita quest’anno – che purtroppo non è stata rinnovata per una seconda stagione. Come ho già avuto modo di scrivere in un precedente post dedicato a The time traveler’s wife (vi consiglio di leggerlo: QUI), questa non è solo una storia d’amore: questa è soprattutto una storia sul libero arbitrio, sui rapporti di potere e sulle aspettative. Ma soprattutto questa non è la storia di un viaggiatore nel tempo: questa è la storia di sua moglie. E in questo “di” – che indica possesso o quantomeno subordinazione – è scritta buona parte della storia di Clare. […]
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Inizio subito dicendo che dove c’è distopia, c’è un Emme speranzoso.
Ho sempre trovato che l’estremo letterario sia uno strumento molto potente per parlare di qualcosa, portare verso l’estremo permette di far emergere con forza le contraddizioni, gli eccessi e gli errori; in questo senso una distopia, enfatizzando un aspetto di una realtà politica e/o sociale, ci permette di cogliere meglio ciò che la caratterizza e di comprenderla nei suoi limiti. In questo testo la distopia (apparentemente utopica) funziona molto bene e l’autore è stato (estremamente) capace di costruire al suo interno un sistema politico e di funzionamento sociale credibile, ben articolato e ben strutturato.
A me piace chiamarla noia. Coccolati dai cuscini dell’agiatezza, viviamo da sempre un’epoca di letargo politico, mio caro amico, un’epoca che trovo estremamente noiosa, tant’è perfetta.
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Le camere a gas non sono mai esistite; sei milioni di ebrei non sono mai morti – sono solo emigrati; il Diario di Anna Frank è un falso; l’Olocausto è un’invenzione dei sionisti. Queste sono alcune delle posizioni sostenute dagli autori “revisionisti” – come si descrivono loro – della Shoah. Per il resto del mondo sono semplicemente dei negazionisti (un po’ complottisti, perché dove c’è negazione il ricorso al complotto si rivela sempre necessario). Quest’anno per la Giornata della Memoria ho deciso di preparare un articolo un po’ diverso dal solito: non parleremo infatti di un romanzo a tema, bensì di un saggio – L’irritante questione delle camere a gas di Valentina Pisanty […]
[…] This novel deals with some delicate themes, which are almost inseparable: teen age, sexuality, family and religion.
Teenagers live a very difficult age, a period of self-discovery and choices, a time in which they build relationships and their future. Tanner can’t be the real himself, he has to hide, to lie low; otherwise Mormons would look at him like he is an alien. Because he’s different and doesn’t fit into their perfect world: gay people are not in God’s plan.
Sebastian knows this very well; nevertheless he can’t forget Tanner’s eyes, his look burned his skin and left a permanent sign. […]
[…] Nello stesso periodo ho, invece, visto i candidati delle altre liste in corsa per il mio comune (ma anche per altri paesi) e ho notato diversi nomi di giovani (e giovanissimi) che conoscevo. Ragazzi e ragazze che però non si erano mai attivati precedentemente per questioni politiche né sociali o civili. Addirittura ragazzi che, pur essendo in lista, non si sono mai pronunciati su alcun argomento perfino durante la stessa campagna elettorale. Insomma, sono stati dei fantasmi, nulla più di un nome su un foglio. Devo ammettere di aver apprezzato che la mia lista, dopo il mio rifiuto, non si sia messa disperatamente a cercare un “gggiovane” con cui sostituirmi, perché ai ragazzi e alle ragazze la politica deve dare spazio, ma non deve trasformarli in simboliche belle statuine da spendere solo in campagna elettorale… E dopo questa mia breve introduzione, passo la palla a Emme, che oggi vi spiega il fenomeno del tokenismo. […]
La catena di ferro è il secondo capitolo della trilogia The Last Hours, la nuova serie di Cassandra Clare incentrata sulla storia di Cordelia Carstairs, James e Lucie Herondale. Se già avevo adorato il primo libro della trilogia, La catena d’oro, questo secondo romanzo l’ho amato ancora di più.
Il primo punto forte di The Last Hours è sicuramente l’ambientazione, senza ombra di dubbio la Londra di inizio ‘900 diffonde un fascino straordinario: carrozze, abiti elegantissimi e variopinti, balli e feste in sontuose sale… La Clare ha prestato moltissima attenzione a ogni singolo dettaglio relativo all’ambientazione e devo dire che è stata magistrale nel ricreare atmosfere incantate. […]
[…] Una serie di lunghe peripezie sono l’occasione perfetta per portare alla nostra attenzione tanti timori e tanta rabbia che i personaggi – e gli stessi spettatori americani, suppongo – si tenevano dentro: Ruzek può in qualche modo prendersi parte della colpa delle azioni di poliziotti bianchi e razzisti solo perché è bianco? La comunità nera può ritenere qualunque poliziotto bianco almeno in parte responsabile? E sono tutti razzisti? E uno come Rusek – che, lo sa pure Atwater, poco ma sicuro non è razzista nemmeno un po’ – cosa dovrebbe fare per stare nel giusto? La colpa dei padri ricade sui figli? (O, in questo caso, forse è meglio dire: la colpa della nostra comunità ricade su ognuno di noi?). L’accesa discussione tra i due amici – Adam e Kevin – è sconvolgente al punto giusto, struggente, vera. […]
Professionismo e stereotipi di genere
nel book influencing femminile
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