[…] Il testo di Roberto Tagliavia, tecnicamente, si presta a varie classificazioni. A tratti potrebbe definirsi un diario, per le pagine dedicate agli anni scolastici, o per la precisione di date per gli incontri del partito, mentre non sarebbe errato definirlo un romanzo di formazione giacché il giovane Roberto prende coscienza dello stato in cui versa la società che lo circonda e ne prende le distanze maturando il suo pensiero fondato sull’uguaglianza e la giustizia sociale. Non può essere un errore nemmeno definirlo un romanzo storico (in alcuni tratti ho percepito lo stesso sapore di Un cappello pieno di ciliegie della Fallaci) per via del punto in cui Roberto recupera stralci del vissuto dei suoi antenati (tra garibaldini e risorgimento), mentre in tutta l’evoluzione politica del periodo che va dagli anni settanta fino ai tempi recenti (alla giunta Orlando, per intenderci) troviamo i toni del saggio politico. […]
Amo i gialli e amo i gatti, potevo forse non lasciarmi tentare da questa copertina superpucciosa?
Il libro inizia nel modo più classico: un cadavere in una stanza, descritto in tutto il suo orrore silenzioso, e un gruppo di persone che accorrono e si fermano sulla soglia, scioccate dal macabro spettacolo: non abbastanza però da evitare che qualcuno cerchi subito di discolparsi.
Ma tranquilli, perché esaurito il prologo serioso, fin dal primo capitolo capiamo che questo è un giallo sui generis, come il titolo e la divertente copertina ci fanno intuire. Il protagonista è un investigatore privato, occasionalmente consulente della polizia per i casi più… “strani”, e cosa c’è di più strano di un delitto in una stanza chiusa, e come se non bastasse in un’ala deserta di una villa hollywoodiana (anche se situata nel Leccese)? “Deserta” a parte per la presenza di un adorabile gattino nero… […]
Ho scoperto questa storia grazie alla serie tv HBO uscita quest’anno – che purtroppo non è stata rinnovata per una seconda stagione. Come ho già avuto modo di scrivere in un precedente post dedicato a The time traveler’s wife (vi consiglio di leggerlo: QUI), questa non è solo una storia d’amore: questa è soprattutto una storia sul libero arbitrio, sui rapporti di potere e sulle aspettative. Ma soprattutto questa non è la storia di un viaggiatore nel tempo: questa è la storia di sua moglie. E in questo “di” – che indica possesso o quantomeno subordinazione – è scritta buona parte della storia di Clare. […]
L’elemento che immediatamente ci colpisce è la costruzione dell’ambientazione, si tratta infatti di un’ambientazione fantasy-distopica atipica per molti aspetti. Sin dalle prime pagine ci accorgiamo che tutta la storia si sviluppa in un mondo sotterraneo, in cui l’oscurità e la luce hanno un ruolo estremamente significativo; viene poi accennata l’esistenza di un ecosistema e viene, via via nel testo, descritto il sistema sociale degli abitanti in questo mondo. Il tutto è narrato in modo semplice e pulito, con pochi fronzoli.
Personalmente avrei voluto saperne di più, ma comprendo che non fosse questo il focus della narrazione e di conseguenza posso anche capire la scelta di fornire delle descrizioni talvolta minimali […]
Trama potenzialmente molto interessante, risultato mortalmente noioso: questo è il succo del mio parere su Donne che comprano fiori di Vanessa Montfort.
La protagonista è Marina, una donna che da quando ha perso il marito sembra non riuscire più a riprendere il controllo della propria vita: lui era quello “carismatico” tra i due, lui era quello che sapeva cosa volevano e dove stavano andando, lui era il capitano del loro vascello. Da sola ora Marina si sente come una piccola barchetta a remi sballottata qua e là dalla tempesta; è un’anima sperduta in una Madrid caotica e artistica… Una creatura timorosa che però inizia il suo percorso di “rinascita” quando incontra Olivia, proprietaria di un incantato negozio di fiori, punto di ritrovo e ispirazione per tante anime confuse. […]
[…] Hide inizia non proprio in modo leggero: la nostra protagonista, reduce da una tragedia familiare, come si intuisce ben presto, è ridotta dall’indigenza a vivere di notte in un ricovero e di giorno a rifugiarsi dove può, in attesa di poter rientrare al ricovero, una notte dopo l’altra. Un giorno viene convocata per un colloquio in cui la invitano a partecipare a un gioco, forse un reality show, con in palio un premio di 50.000 dollari. L’idea sembra allettante, non fosse che Mack, così si chiama la nostra protagonista, ha vissuto un’esperienza drammatica che ricorda da vicino le dinamiche del gioco che le è stato proposto, in cui l’unica richiesta fatta ai giocatori è quella di nascondersi il più a lungo possibile: l’ultimo a essere trovato sarà il vincitore. Il ricordo è troppo doloroso e Mack sta per rinunciare, ma tornando al ricovero scopre che la sua roba è stata gettata via… e finisce per lasciarsi allettare da una settimana di vitto e alloggio gratuito offerta dagli organizzatori del gioco. E poi, perché no, potrebbe anche vincere: a nascondersi è molto brava… […]
Il protagonista del libro è uno scrittore di fiabe per bambini che all’età di trent’anni non è ancora riuscito a combinare molto nella sua vita: nessuno vuole pubblicare le sue storie, vive in un piccolo e malconcio appartamento, con i pochi soldi che guadagna fatica ad arrivare a fine mese e la sua dispensa è quasi sempre vuota (e quando non lo è non contiene che biscotti e cioccolato). Lo scrittore potrebbe essere descritto come un eterno Peter Pan: è ormai adulto, la famiglia e gli amici gli intimano di trovarsi un vero lavoro, ma lui si rifiuta di crescere… Teme che se dovesse dare ascolto agli altri, si ritroverebbe a vivere un’esistenza triste e monotona, priva di colori, felicità e fantasia. Mi è piaciuta molto la parte del libro il cui l’autore-narratore-protagonista riflette sulla differenza tra crescere e invecchiare: invecchiare è un processo naturale a cui nessuno può sottrarsi, invece crescere è una scelta. […]
Ci ho provato, giuro che ci ho provato a dare un’occasione a questo libro… ma proprio non fa per me: si sente troppo che non è stato scritto da Agatha Christie, che è un’imitazione (e nemmeno una troppo ben riuscita, a mio parere).
I delitti di Kingfisher Hill parte da ottime premesse: già il titolo strizza l’occhio ai super classici della Christie e di primo acchito trama e personaggi sembrano ricalcare molto quelli della storica autrice. Ci sono tutti: il detective non troppo brillante, il capofamiglia padre-padrone temuto da tutti i suoi figli, la ragazza bella e arrogante, i giovanotti da ammirare e i figli disonorati di ricche famiglie; per non parlare del furto, dell’omicidio, dei camuffamenti e dei discorsi truffaldini. In teoria ci sono tutti gli elementi vincenti della Christie… eppure dopo le prime pagine – in cui, lo ammetto, ero abbastanza ottimista – il libro ha iniziato a mostrare tutte le sue imperfezioni, le forzature, e i tentativi di imitazione son sembrati sempre più scialbi, insoddisfacenti, finti. […]
Before reading What if it’s us I already knew the co-authors: I had already read Love, Simon by Becky Albertalli, and They both die at the end and History is all you left me by Adam Silvera. This new co-production was not as good as their other books, but it was still very pleasant. The three novels I’ve just mentioned deals with tough topics, such as homophobia, predetermination and mourning. What if it’s us is a sweet love story about first love and serendipity; it’s funny, joyful and the ending leaves you full of hope for the (characters’) future.
Now I’ll go straight to the point: Here’s to us, on the contrary, is boring and useless. […]
Ne Il canto di Calliope Natalie Haynes ci racconta l’Iliade di Omero da una prospettiva inedita: i protagonisti dell’opera non sono più i grandi eroi che noi tutti conosciamo – Achille, Ettore, Paride, Odisseo, Menelao, Agamennone – bensì le donne che, in vari modi, si sono ritrovate coinvolte nel conflitto.
Il libro si apre con la voce di Calliope, qui presentata sotto una nuova veste. Calliope si rifiuta di fare semplicemente “la musa”, è stufa di essere invocata dai poeti e di sottostare alle loro richieste di cantare di città, guerre, eroi e massacri; Calliope decide di prendere in mano lei stessa le redine del racconto per far rivivere tutte quelle mogli, madri, figlie e sorelle che a causa della guerra sono state private di tutto ciò che avevano. […]
[…] For totally unselfish reasons, Olive finds herself involved in the typical rom-com fake dating thing… and the novel gives us every cliché of the genre: secret agreements, rules like “no sex” and an expiring date, fake coffee-dates and the inevitable falling in love process. Even if the plot is quite predictable, The Love Hypothesis is still a very pleasant reading, well-written and absolutely romantic. Some pages even gives you butterflies.
Olive is the typical romance female protagonist: very shy and unconscious of her value, but also smart, nice and – in this case – very scientifically gifted. […]
[…] Leggere questo libro è stata davvero un’esperienza nuova: la narrazione è molto fluida e fantasiosa, il protagonista si muove con disinvoltura nel suo viaggio alla riscoperta dei suoi protagonisti e dell’amore in tutte le sue forme come volando nello spazio (o forse bisognerebbe dire nel cyberspazio) senza preoccuparsi troppo delle coordinate spazio-temporali, cosa che all’inizio mi ha spiazzata ma che poi mi ha proiettata proprio nella realtà virtuale che noi tutti sperimentiamo navigando nel web, quando passiamo da un articolo di attualità a un blog di cinema o a un tutorial per riparare la tastiera del pc, una sensazione curiosa e che offre infiniti spazi alla creatività. […]
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Inizio subito dicendo che dove c’è distopia, c’è un Emme speranzoso.
Ho sempre trovato che l’estremo letterario sia uno strumento molto potente per parlare di qualcosa, portare verso l’estremo permette di far emergere con forza le contraddizioni, gli eccessi e gli errori; in questo senso una distopia, enfatizzando un aspetto di una realtà politica e/o sociale, ci permette di cogliere meglio ciò che la caratterizza e di comprenderla nei suoi limiti. In questo testo la distopia (apparentemente utopica) funziona molto bene e l’autore è stato (estremamente) capace di costruire al suo interno un sistema politico e di funzionamento sociale credibile, ben articolato e ben strutturato.
A me piace chiamarla noia. Coccolati dai cuscini dell’agiatezza, viviamo da sempre un’epoca di letargo politico, mio caro amico, un’epoca che trovo estremamente noiosa, tant’è perfetta.
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Americanah è il nome con cui viene chiamata una persona nigeriana che torna a casa dopo aver passato del tempo in America, assimilando la lingua, le tradizioni e le abitudini degli Americani. Questo è il modo con cui Ifemelu ha paura di essere etichettata quando decide di tornare in patria dopo anni passati negli USA. Ifemelu, terminato il liceo, si era infatti trasferita a studiare in America, in cerca di un’istruzione e di una vita migliori. Ma torniamo indietro, partiamo dal principio: dal suo viaggio in America.
Nel romanzo, capitolo dopo capitolo, abbiamo la possibilità di accompagnare Ifemelu in un percorso che si dimostra pieno di sorprese, purtroppo non sempre positive. Ben presto la ragazza si rende conto che l’America non è propriamente il paese della cuccagna… soprattutto se la tua pelle non è di colore bianco. […]
Questa breve raccolta di racconti è davvero breve: l’intero libro potrebbe essere letto in un paio d’ore. E vista la forte capacità ipnotica di ogni racconto, non mi meraviglierei se qualche lettore o lettrice decidesse di divorare tutte le pagine in un colpo solo. Tuttavia questo non è stato l’approccio adottato dalla sottoscritta (principalmente per mancanza di tempo: non ho avuto un mezzo pomeriggio da dedicare interamente a Bestiario sentimentale) e non ho ancora ben definito se il mio centellinare le pagine mi abbia portata ad apprezzare di più o di meno questi racconti. Poco ma sicuro mi sono piaciuti, e tanto.
Il primo racconto, La vita matrimoniale dei pesci rossi, è struggente nella sua atmosfera rassegnata, disperato nella passiva accettazione degli eventi; contiene inoltre il parallelismo con il mondo animale che ho preferito. […]
[…] Stagioni, bambini, giocattoli, adulti, scuola, adolescenza, parenti e sconosciuti, gioie, paure, figure indefinite e colori nitidissimi: ecco i ricordi di vita di Joe Brainard – frammentati, raccattati, riportati alla rinfusa. In I remember non c’è nessun ordine cronologico, nessun nesso causale, solo ricordi riportati così, come vengono in mente. Pur non avendo trama, pur non avendo personaggi (fatta eccezione per il narratore, che però non si palesa mai per davvero), questo libro è davvero in grado di far viaggiare il lettore. Io sono di un’altra epoca rispetto all’autore (lui era già morto quando io sono nata), eppure ho trovato tanti attimi e tante emozioni in comune con lui, ho ritrovato tratti di me nella sua infanzia.
Insomma, lettura appassionante, per niente impegnativa, incredibilmente nostalgica. Un memoir da gustare con calma. […]
Le camere a gas non sono mai esistite; sei milioni di ebrei non sono mai morti – sono solo emigrati; il Diario di Anna Frank è un falso; l’Olocausto è un’invenzione dei sionisti. Queste sono alcune delle posizioni sostenute dagli autori “revisionisti” – come si descrivono loro – della Shoah. Per il resto del mondo sono semplicemente dei negazionisti (un po’ complottisti, perché dove c’è negazione il ricorso al complotto si rivela sempre necessario). Quest’anno per la Giornata della Memoria ho deciso di preparare un articolo un po’ diverso dal solito: non parleremo infatti di un romanzo a tema, bensì di un saggio – L’irritante questione delle camere a gas di Valentina Pisanty […]
[…] This novel deals with some delicate themes, which are almost inseparable: teen age, sexuality, family and religion.
Teenagers live a very difficult age, a period of self-discovery and choices, a time in which they build relationships and their future. Tanner can’t be the real himself, he has to hide, to lie low; otherwise Mormons would look at him like he is an alien. Because he’s different and doesn’t fit into their perfect world: gay people are not in God’s plan.
Sebastian knows this very well; nevertheless he can’t forget Tanner’s eyes, his look burned his skin and left a permanent sign. […]
Premessa: questa recensione esprime un giudizio sul libro in questione, non sull’autrice né sul suo lavoro più ampio.
Detto ciò, ora vado dritta al punto: secondo me questo libro non è all’altezza delle potenzialità e delle competenze che Carlotta Vagnoli ha manifestato in diverse altre occasioni. Io infatti seguo l’autrice su Instagram e apprezzo sempre molto le storie che dedica all’analisi di specifici casi (precise e potenti sono state, per esempio, le storie sul caso Genovese), nonché le caption dei suoi post o gli articoli (scritti da lei) che a volte condivide. La sua voce di solito è tagliente, nel senso che sa proprio aprire un varco di luce e conoscenza sugli stereotipi di genere, sul linguaggio sessista, sulla rape culture e su tutti i temi che affronta. La sua voce è forte, ma anche arrabbiata ed emotiva. E, personalmente, credo che la passione che mette nel raccontare e spiegare sia una delle sue armi vincenti. Purtroppo in questo libro non ho ritrovato la stessa energia impattante, lo stesso stile personale, la stessa forza espressiva. […]
Un cane sfugge al suo padrone durante una passeggiata nella periferia milanese. Il padrone lo insegue e si ritrova in una vecchia cascina abbandonata, dove i due fanno una macabra scoperta: un cadavere nudo, un uomo ucciso a coltellate e marchiato con una croce sul petto. Intorno al corpo… candele rosse, drappi neri e incenso: che si tratti di un sacrificio a Satana?
Dopo questa breve, agghiacciante introduzione, la scena si sposta e noi lettori facciamo la conoscenza della protagonista di questa storia, Cecilia, una giovane intraprendente e appassionata di moda che lavora nello showroom milanese di Franco Sartori, un affermato stilista… che ben presto si scopre essere proprio il cadavere appena ritrovato.
Partono le indagini e il mistero si infittisce pagina dopo pagina, man mano che si sommano gli omicidi e i loschi segreti del microcosmo della moda milanese. […]
[…] Nello stesso periodo ho, invece, visto i candidati delle altre liste in corsa per il mio comune (ma anche per altri paesi) e ho notato diversi nomi di giovani (e giovanissimi) che conoscevo. Ragazzi e ragazze che però non si erano mai attivati precedentemente per questioni politiche né sociali o civili. Addirittura ragazzi che, pur essendo in lista, non si sono mai pronunciati su alcun argomento perfino durante la stessa campagna elettorale. Insomma, sono stati dei fantasmi, nulla più di un nome su un foglio. Devo ammettere di aver apprezzato che la mia lista, dopo il mio rifiuto, non si sia messa disperatamente a cercare un “gggiovane” con cui sostituirmi, perché ai ragazzi e alle ragazze la politica deve dare spazio, ma non deve trasformarli in simboliche belle statuine da spendere solo in campagna elettorale… E dopo questa mia breve introduzione, passo la palla a Emme, che oggi vi spiega il fenomeno del tokenismo. […]
Isabel Allende è sempre molto brava a creare donne dai tratti indimenticabili e anche in questa occasione non ha deluso: Alma Belasco è tutto tranne che banale. Ormai ottantenne, si è ritirata a vivere a Lark House, una dimora per la terza età dove però non ha rinunciato a esprimere la personalità indipendente che l’ha caratterizzata per tutta la vita.
Noi lettori abbiamo accesso alla sua storia grazie a Irina Bazil, una ragazza moldava che inizia a lavorare presso la struttura e che presto entra nelle grazie dell’anziana matriarca dei ricchi Belasco. Irina e il nipote di Alma, Seth Belasco, sono incuriositi dalle sue stravaganze e decidono perciò di provare a mettere insieme – grazie a racconti e documenti – il passato della protagonista. […]
La catena di ferro è il secondo capitolo della trilogia The Last Hours, la nuova serie di Cassandra Clare incentrata sulla storia di Cordelia Carstairs, James e Lucie Herondale. Se già avevo adorato il primo libro della trilogia, La catena d’oro, questo secondo romanzo l’ho amato ancora di più.
Il primo punto forte di The Last Hours è sicuramente l’ambientazione, senza ombra di dubbio la Londra di inizio ‘900 diffonde un fascino straordinario: carrozze, abiti elegantissimi e variopinti, balli e feste in sontuose sale… La Clare ha prestato moltissima attenzione a ogni singolo dettaglio relativo all’ambientazione e devo dire che è stata magistrale nel ricreare atmosfere incantate. […]
[…] In questo libro non si parla in alcun modo di solidarietà femminile, anzi, si mettono in luce anni di lotte, pettegolezzi cattivi, insulti, odio soffiato e sputato contro l’avversaria per eccellenza. La nemesi. Queste dieci storie – che poi, appunto, sono cinque – e queste dieci donne – che poi, appunto, sono cinque figure allo specchio – sono accomunate da un sentimento di disprezzo e dalla paura di perdere il proprio piedistallo. Tutte le protagoniste sono eccezionali, e spesso anche eccezionalmente narcisiste, vanitose, incapaci di accettare la sconfitta. Ma non è proprio questo atteggiamento, in fondo, che ha permesso loro di diventare delle celebrità e di riaffermare negli anni il loro valore? Insomma, questo libro getta una nuova prospettiva sul successo e sulla strada per arrivarci e mantenerlo: la cooperazione è bella, ma la rivalità è molto più interessante (e forse più produttiva – almeno dal punto di vista delle protagoniste…). […]
[…] Una serie di lunghe peripezie sono l’occasione perfetta per portare alla nostra attenzione tanti timori e tanta rabbia che i personaggi – e gli stessi spettatori americani, suppongo – si tenevano dentro: Ruzek può in qualche modo prendersi parte della colpa delle azioni di poliziotti bianchi e razzisti solo perché è bianco? La comunità nera può ritenere qualunque poliziotto bianco almeno in parte responsabile? E sono tutti razzisti? E uno come Rusek – che, lo sa pure Atwater, poco ma sicuro non è razzista nemmeno un po’ – cosa dovrebbe fare per stare nel giusto? La colpa dei padri ricade sui figli? (O, in questo caso, forse è meglio dire: la colpa della nostra comunità ricade su ognuno di noi?). L’accesa discussione tra i due amici – Adam e Kevin – è sconvolgente al punto giusto, struggente, vera. […]
Professionismo e stereotipi di genere
nel book influencing femminile
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