Questo libro riporta i risultati di un ricerca qualitativa condotta tramite interviste con madri che si definiscono “pentite”. Non credo abbia senso scrivere una vera e propria recensione di un saggio del genere, perciò mi limiterò a mettere in risalto alcuni punti che ritengo particolarmente rilevanti e che aiutano a riflettere sulla condizione di madre.
1. Le donne intervistate dalla sociologa Orna Donath sono pentite della maternità, non dei propri figli, ovvero: odiano lo stato di madri e preferirebbero non essere mai diventate madri, ma non odiano i propri figli. Può risultare difficile da comprendere, ma è importante. Per semplificare molto: vorrebbero che i figli non fossero mai nati e sarebbero contente se potessero farli sparire come per magia, ma non vorrebbero ucciderli. Non stiamo parlando di potenziali assassine, bensì di donne che non vogliono i figli che purtroppo hanno. […]
Ricorda Bridgerton… ma è meglio dei libri di Julia Quinn.
Ambientazione, premesse e dilemmi sono abbastanza simili ai romanzi resi famosi dalla serie Netflix: siamo all’inizio dell’Ottocento in Inghilterra, le fanciulle si devono sposare, è tutto onore e pudore, gli uomini fanno i libertini, c’è qualche scena erotica… ma, attenzione, qui la protagonista è una bella novità: Florence Marsden non vuole per niente sposarsi, non ne ha proprio alcuna intenzione. Non è di certo il primo personaggio femminile a rifiutare il matrimonio, eppure c’è qualcosa in Florence che la rende unica nel suo genere. Forse l’estrema vivacità? La curiosità senza limiti, l’ironia, il gusto per lo scandalo… Insomma, è una tipina tutta pepe, una donna molto moderna. […]
Anche in questo romanzo non mancano i marchi di fabbrica di Ali Hazelwood: ambientazione nell’universo STEM, un protagonista maschile davvero enorme (e dal cuore di panna), una storia d’amore enemies-to-lovers coi fiocchi. Gli ingredienti ci sono tutti, e come sempre funzionano bene.
La protagonista di questo romanzo si chiama Elsie, è una professoressa di fisica a contratto e nella vita di tutti i giorni… arranca per stare a galla. In tutti i suoi libri l’autrice accenna alle difficoltà economiche di chi lavora nel mondo accademico, ma in questo volume ha deciso di trattare il tema in modo più esteso, sottolineando più volte la precarietà della condizione di Elsie e rendendo il suo personaggio una sorta di manifesto contro questa situazione. Lavoro a parte, la protagonista ha anche un’altra caratteristica piuttosto rilevante: non riesce a fare a meno di compiacere gli altri; è brava a leggere il “pubblico” che le sta di fronte e cerca sempre di dare agli altri la versione di lei che preferiscono. […]
Lo dico chiaro e tondo: The Dead Romantics è stato una grandissima delusione. Prima di iniziare a leggerlo avevo aspettative piuttosto alte, che purtroppo non sono state per nulla soddisfatte. […]
Ciò che inizialmente aveva attirato la mia attenzione era l’elemento paranormale della storia: la protagonista, Florence, è infatti capace di vedere i fantasmi e finisce con innamorarsi proprio di un fantasma. Insomma, mi era sembrato un modo originale di inserire l’aspetto sovrannaturale in un romance senza ricorrere ai soliti demoni, vampiri, lupi mannari… Leggendo il romanzo però ho completamente cambiato idea: non mi è piaciuto come l’autrice ha trattato questa componente, cioè in modo molto confusionario e con una spiegazione finale poco convincente. […]
[…] Concentriamoci però ora sul capitolo finale della trilogia The Last Hours, degna conclusione di una saga che mi ha convinta pienamente fin dall’inizio. Un primo punto di forza del romanzo (e più in generale di tutta la trilogia) è la semplicità della trama: fin da subito la Clare ha costruito una storia chiara, ma non per questo noiosa o eccessivamente prevedibile. Ho apprezzato anche la scelta di mettere spesso al centro le relazioni tra i personaggi, infatti proprio come nei due precedenti romanzi anche in questo la scrittrice ci regala un’abbondante dose di romance… e a una romanticona come me ciò non può che piacere! […]
Agatha Christie nel 1926 sparì per dieci giorni. Polizia, giornali e pubblico si mobilitarono per ritrovarla. La versione ufficiale dice che soffrì di amnesia e si allontanò da casa. La versione non ufficiale (ma poi non così improbabile) di Marie Benedict invece racconta di una donna geniale che mette in piedi un piano perfetto per incastrare e punire il terribile marito (per di più adultero) che per anni l’ha fatta soffrire. In questo romanzo l’autrice avanza una spiegazione che tiene conto di Agatha Christie come donna, ma anche e soprattutto come mente sopraffina in grado di creare le più brillanti trame poliziesche della storia del giallo. […]
Enniscorthy, anni Cinquanta: in questa cittadina irlandese non c’è lavoro per nessuno, e Eilis Lacey non ha davanti a sé grandi prospettive per il futuro. È una giovane donna brava a far di conto, paziente e senza particolari guizzi nelle sue giornate. La sorella maggiore Rose, suo modello quasi irraggiungibile di perfezione, lavora come contabile, mentre i fratelli maschi sono tutti emigrati in Inghilterra per cercare lavoro. Per Eilis arriva però un’opportunità inaspettata: Padre Flood le ha trovato un posto di lavoro e un alloggio negli Stati Uniti. È arrivato il momento di partire e scoprire una nuova vita. […]
[…] Nonostante i cliché e la prevedibilità della storia, Love on the Brain è riuscito a farmi battere il cuoricino. Mi è piaciuto come l’autrice ha costruito la storia tra Bee e Levi: i due si spronano reciprocamente a dare il meglio e a migliorarsi, sia al lavoro che nelle loro vite private; Levi aiuta Bee a credere di più in se stessa e nelle sue potenzialità, Bee ricambia aiutando Levi a liberarsi della sua dura corazza. Si sostengono inoltre nei momenti di solitudine, infatti entrambi hanno dovuto affrontare difficoltà e perdite importanti nella loro vita, ma proprio per questo riescono a capirsi meglio di quanto potrebbe fare chiunque altro. Direi che con questo romanzo Ali Hazelwood ha voluto sottolineare l’importanza di una buona comunicazione per riuscire ad avere una solida relazione… qualche parola in più da parte di entrambi avrebbe sicuramente permesso loro di non sprecare tempo. […]
Questo libro ha tutte le carte in regola per essere un ottimo romance, eppure qualcosa non mi ha convinta. Non che sia brutto – non lo è affatto, anzi, è molto carino – ma non mi ha conquistata a pieno. Forse perché mette insieme fin troppi elementi: una relazione enemies to lovers, la scoperta dalla propria sessualità, la politica internazionale… Ecco, sì, forse è proprio quest’ultimo punto ad avermi lasciato un po’ perplessa. Ma andiamo con ordine. […]
Dopo questa intensa rilettura, il mio verdetto rimane invariato: preferisco Poirot!
Ho letto per la prima volta qualche racconto su Sherlock Holmes quando andavo alle scuole medie, non ne sono rimasta colpita e ho deciso di passare ad Agatha Christie, che è diventata in breve tempo la mia giallista preferita.Nel corso dell’ultimo mese mi sono dedicata a una lettura completa di tutti gli scritti di Sir Arthur Conan Doyle sul suo celebre investigatore londinese e… continuo a preferire Poirot. […]
Ho scoperto questa storia grazie alla serie tv HBO uscita quest’anno – che purtroppo non è stata rinnovata per una seconda stagione. Come ho già avuto modo di scrivere in un precedente post dedicato a The time traveler’s wife (vi consiglio di leggerlo: QUI), questa non è solo una storia d’amore: questa è soprattutto una storia sul libero arbitrio, sui rapporti di potere e sulle aspettative. Ma soprattutto questa non è la storia di un viaggiatore nel tempo: questa è la storia di sua moglie. E in questo “di” – che indica possesso o quantomeno subordinazione – è scritta buona parte della storia di Clare. […]
Trama potenzialmente molto interessante, risultato mortalmente noioso: questo è il succo del mio parere su Donne che comprano fiori di Vanessa Montfort.
La protagonista è Marina, una donna che da quando ha perso il marito sembra non riuscire più a riprendere il controllo della propria vita: lui era quello “carismatico” tra i due, lui era quello che sapeva cosa volevano e dove stavano andando, lui era il capitano del loro vascello. Da sola ora Marina si sente come una piccola barchetta a remi sballottata qua e là dalla tempesta; è un’anima sperduta in una Madrid caotica e artistica… Una creatura timorosa che però inizia il suo percorso di “rinascita” quando incontra Olivia, proprietaria di un incantato negozio di fiori, punto di ritrovo e ispirazione per tante anime confuse. […]
Il protagonista del libro è uno scrittore di fiabe per bambini che all’età di trent’anni non è ancora riuscito a combinare molto nella sua vita: nessuno vuole pubblicare le sue storie, vive in un piccolo e malconcio appartamento, con i pochi soldi che guadagna fatica ad arrivare a fine mese e la sua dispensa è quasi sempre vuota (e quando non lo è non contiene che biscotti e cioccolato). Lo scrittore potrebbe essere descritto come un eterno Peter Pan: è ormai adulto, la famiglia e gli amici gli intimano di trovarsi un vero lavoro, ma lui si rifiuta di crescere… Teme che se dovesse dare ascolto agli altri, si ritroverebbe a vivere un’esistenza triste e monotona, priva di colori, felicità e fantasia. Mi è piaciuta molto la parte del libro il cui l’autore-narratore-protagonista riflette sulla differenza tra crescere e invecchiare: invecchiare è un processo naturale a cui nessuno può sottrarsi, invece crescere è una scelta. […]
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Inizio subito dicendo che dove c’è distopia, c’è un Emme speranzoso.
Ho sempre trovato che l’estremo letterario sia uno strumento molto potente per parlare di qualcosa, portare verso l’estremo permette di far emergere con forza le contraddizioni, gli eccessi e gli errori; in questo senso una distopia, enfatizzando un aspetto di una realtà politica e/o sociale, ci permette di cogliere meglio ciò che la caratterizza e di comprenderla nei suoi limiti. In questo testo la distopia (apparentemente utopica) funziona molto bene e l’autore è stato (estremamente) capace di costruire al suo interno un sistema politico e di funzionamento sociale credibile, ben articolato e ben strutturato.
A me piace chiamarla noia. Coccolati dai cuscini dell’agiatezza, viviamo da sempre un’epoca di letargo politico, mio caro amico, un’epoca che trovo estremamente noiosa, tant’è perfetta.
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Americanah è il nome con cui viene chiamata una persona nigeriana che torna a casa dopo aver passato del tempo in America, assimilando la lingua, le tradizioni e le abitudini degli Americani. Questo è il modo con cui Ifemelu ha paura di essere etichettata quando decide di tornare in patria dopo anni passati negli USA. Ifemelu, terminato il liceo, si era infatti trasferita a studiare in America, in cerca di un’istruzione e di una vita migliori. Ma torniamo indietro, partiamo dal principio: dal suo viaggio in America.
Nel romanzo, capitolo dopo capitolo, abbiamo la possibilità di accompagnare Ifemelu in un percorso che si dimostra pieno di sorprese, purtroppo non sempre positive. Ben presto la ragazza si rende conto che l’America non è propriamente il paese della cuccagna… soprattutto se la tua pelle non è di colore bianco. […]
Le camere a gas non sono mai esistite; sei milioni di ebrei non sono mai morti – sono solo emigrati; il Diario di Anna Frank è un falso; l’Olocausto è un’invenzione dei sionisti. Queste sono alcune delle posizioni sostenute dagli autori “revisionisti” – come si descrivono loro – della Shoah. Per il resto del mondo sono semplicemente dei negazionisti (un po’ complottisti, perché dove c’è negazione il ricorso al complotto si rivela sempre necessario). Quest’anno per la Giornata della Memoria ho deciso di preparare un articolo un po’ diverso dal solito: non parleremo infatti di un romanzo a tema, bensì di un saggio – L’irritante questione delle camere a gas di Valentina Pisanty […]
[…] This novel deals with some delicate themes, which are almost inseparable: teen age, sexuality, family and religion.
Teenagers live a very difficult age, a period of self-discovery and choices, a time in which they build relationships and their future. Tanner can’t be the real himself, he has to hide, to lie low; otherwise Mormons would look at him like he is an alien. Because he’s different and doesn’t fit into their perfect world: gay people are not in God’s plan.
Sebastian knows this very well; nevertheless he can’t forget Tanner’s eyes, his look burned his skin and left a permanent sign. […]
Premessa: questa recensione esprime un giudizio sul libro in questione, non sull’autrice né sul suo lavoro più ampio.
Detto ciò, ora vado dritta al punto: secondo me questo libro non è all’altezza delle potenzialità e delle competenze che Carlotta Vagnoli ha manifestato in diverse altre occasioni. Io infatti seguo l’autrice su Instagram e apprezzo sempre molto le storie che dedica all’analisi di specifici casi (precise e potenti sono state, per esempio, le storie sul caso Genovese), nonché le caption dei suoi post o gli articoli (scritti da lei) che a volte condivide. La sua voce di solito è tagliente, nel senso che sa proprio aprire un varco di luce e conoscenza sugli stereotipi di genere, sul linguaggio sessista, sulla rape culture e su tutti i temi che affronta. La sua voce è forte, ma anche arrabbiata ed emotiva. E, personalmente, credo che la passione che mette nel raccontare e spiegare sia una delle sue armi vincenti. Purtroppo in questo libro non ho ritrovato la stessa energia impattante, lo stesso stile personale, la stessa forza espressiva. […]
[…] Nello stesso periodo ho, invece, visto i candidati delle altre liste in corsa per il mio comune (ma anche per altri paesi) e ho notato diversi nomi di giovani (e giovanissimi) che conoscevo. Ragazzi e ragazze che però non si erano mai attivati precedentemente per questioni politiche né sociali o civili. Addirittura ragazzi che, pur essendo in lista, non si sono mai pronunciati su alcun argomento perfino durante la stessa campagna elettorale. Insomma, sono stati dei fantasmi, nulla più di un nome su un foglio. Devo ammettere di aver apprezzato che la mia lista, dopo il mio rifiuto, non si sia messa disperatamente a cercare un “gggiovane” con cui sostituirmi, perché ai ragazzi e alle ragazze la politica deve dare spazio, ma non deve trasformarli in simboliche belle statuine da spendere solo in campagna elettorale… E dopo questa mia breve introduzione, passo la palla a Emme, che oggi vi spiega il fenomeno del tokenismo. […]
La catena di ferro è il secondo capitolo della trilogia The Last Hours, la nuova serie di Cassandra Clare incentrata sulla storia di Cordelia Carstairs, James e Lucie Herondale. Se già avevo adorato il primo libro della trilogia, La catena d’oro, questo secondo romanzo l’ho amato ancora di più.
Il primo punto forte di The Last Hours è sicuramente l’ambientazione, senza ombra di dubbio la Londra di inizio ‘900 diffonde un fascino straordinario: carrozze, abiti elegantissimi e variopinti, balli e feste in sontuose sale… La Clare ha prestato moltissima attenzione a ogni singolo dettaglio relativo all’ambientazione e devo dire che è stata magistrale nel ricreare atmosfere incantate. […]
[…] Una serie di lunghe peripezie sono l’occasione perfetta per portare alla nostra attenzione tanti timori e tanta rabbia che i personaggi – e gli stessi spettatori americani, suppongo – si tenevano dentro: Ruzek può in qualche modo prendersi parte della colpa delle azioni di poliziotti bianchi e razzisti solo perché è bianco? La comunità nera può ritenere qualunque poliziotto bianco almeno in parte responsabile? E sono tutti razzisti? E uno come Rusek – che, lo sa pure Atwater, poco ma sicuro non è razzista nemmeno un po’ – cosa dovrebbe fare per stare nel giusto? La colpa dei padri ricade sui figli? (O, in questo caso, forse è meglio dire: la colpa della nostra comunità ricade su ognuno di noi?). L’accesa discussione tra i due amici – Adam e Kevin – è sconvolgente al punto giusto, struggente, vera. […]
Professionismo e stereotipi di genere
nel book influencing femminile
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