RECENSIONE: Omicidio al Grand Hotel di Beate Maly
TITOLO: Omicidio al Grand Hotel
AUTRICE: Beate Maly
EDITORE: Emons
PAGINE: 317
TRAMA:
Austria 1922. La crème dell’alta società viennese si ritrova per un evento di beneficenza nel lussuoso Grand Hotel Panhans am Semmering, nell’incantevole paesaggio alpino. Ma l’atmosfera brillante e sfarzosa si guasta quando uno degli ospiti viene avvelenato. Nel bel mezzo di una tempesta di neve, l’albergo viene completamente tagliato fuori dal mondo esterno. All’insegnante in pensione Ernestine Kirsch e al suo amico farmacista Anton Böck non resta che mettersi a indagare…Il debutto di una estrosa e un po’ attempata coppia di detective. Primo volume della serie.
RECENSIONE
Siamo in Austria all’inizio degli anni Venti e Ernestine Kirsch è un’insegnante in pensione che, per un inaspettato colpo di fortuna, si trova a partecipare a un esclusivo weekend di beneficienza sulle Alpi con incluse lezioni di tango. Appassionata di danza (anche se priva del minimo senso del ritmo e della grazia), Ernestine coglie l’occasione al volo, e anzi trascina con sé l‘amico di una vita, il farmacista Anton Böck.
Fin dal principio la protagonista si presenta come una novella Miss Marple: non più giovane, è però dotata di un eccezionale spirito di osservazione, di grande intuizione e della necessaria voglia di ficcare il naso nelle faccende altrui. Ed è proprio per questo che, quando uno dei ricchi ospiti del lussuoso Grand Hotel Panhans viene ucciso e la polizia non riesce ad arrivare sul luogo a causa di una tormenta di neve, Ernestine decide di prendere in mano il caso. Il povero Anton – come ogni buon Watson o Hastings che si rispetti – non può far altro che dar corda dall’esuberanza dell’amica, fornendo qua e là qualche goffo aiuto e gustandosi al meglio le ottime cene offerte dall’hotel.
Ernestine non è una detective professionista e il romanzo lo mette ben in chiaro, mostrandola come una donna intelligente ma non infallibile, che anzi a volte si lascia prendere dall’entusiasmo per il giallo, dimostrandosi troppo ingenua e facendosi trascinare in situazioni pericolose. Ho trovato molto carino il rapporto tra lei e Anton: lui ha una cotta per la donna da decenni ormai, ma lei – per quanto perspicace su altre cose – sembra non rendersene proprio conto. Un’altra caratteristica che ho molto apprezzato di Ernestine è la sua anima da vera insegnante, sempre pronta ad aiutare gli altri ma anche a “sgridarli” quando si comportano male. Per non parlare poi delle sue dichiarate simpatie per i socialisti…
Come in ogni giallo d’epoca che si rispetti, il cast di personaggi ripropone i soliti stereotipi: tutti sono apparentemente “rispettabili”, ma in realtà pieni di segreti; ci sono gli animi ribelli, le cariche militari, gli ereditieri, gli artisti… Insomma, ognuno interpreta bene la sua parte e contribuisce a creare un’atmosfera di mistero e rendere sempre più intricato il delitto.
Il romanzo nel complesso mi è piaciuto abbastanza, e credo che Ernestine sia un personaggio con un ottimo potenziale come detective amatoriale (leggerò con piacere gli altri libri della serie); tuttavia il finale non mi ha convinta moltissimo. Il collegamento con la scena iniziale del libro (due bimbi che muoiono in Italia a causa di un ordigno chimico) è ovvio fin da subito, ma la spiegazione del caso nelle ultime pagine mi è parsa un pochino troppo forzata, anche se sicuramente in grado di esercitare un grande impatto emotivo sul lettore. Chiudo con una piccola nota di merito, innovativa rispetto alla (da me però tanto amata) scena con lo spiegone finale dell’investigatore: non è Ernestine a scoprire il colpevole, diciamo che quasi si scopre da solo…