Velo islamico, agency femminile e identità: una ricerca qualitativa con madri, figlie e attiviste musulmane

Buongiorno a tutte e tutti!
Finalmente, dopo un lunghissimo periodo di pubblicazioni a spizzichi e bocconi, posso tornare a occuparmi del blog come si deve. Negli ultimi mesi, come vi ho raccontato su Instagram (trovate QUI la nostra pagina), sono stata piuttosto impegnata con il lavoro e con la stesura della mia tesi magistrale, per la quale ho scelto un tema bello tosto: ho infatti deciso di parlare di velo islamico dal punto di vista delle donne che lo indossano in Italia. Per farlo ho raccolto diverse testimonianze tramite interviste… insomma, un lavoretto non da poco, che mi ha tenuta occupata e non mi ha permesso di scrivere recensioni con regolarità. 
Negli scorsi mesi ho pubblicato qualche consiglio di lettura basato sulla bibliografia di questa tesi e il vostro interesse per l’argomento mi ha fatto molto piacere! Ecco dunque i principali titoli che consiglierei a chi è interessato al tema hijab e ad approfondire la relazione donne-Islam partendo dalle basi (insomma, niente libri troppo “tecnici”).

Quello che abbiamo in testa di Sumaya Abdel Qader
Oltre il velo. La donna nell’Islam da Maometto agli ayatollah di Leila Ahmed
Sul velo. Lettere aperte alle donne musulmane di Marnia Lazreg
Donne del profeta: la condizione femminile nell’Islam di Fatima Mernissi
A capo coperto: storie di donne e di veli di Maria Giuseppina Muzzarelli
Femminismo islamico. Corano, diritti, riforme di Renata Pepicelli
Il velo nell’Islam. Storia, estetica e politica di Renata Pepicelli

Sperando di farvi cosa gradita, ho deciso anche di rendere fruibile per tutti i lettori del blog la versione integrale del mio elaborato. Qui sotto trovate l’introduzione e poi, se vorrete, potrete continuare a leggere direttamente il pdf allegato.


Introduzione

Nel 2019 la casa editrice Mondadori ha pubblicato Quello che abbiamo in testa, un romanzo in cui l’autrice di origini giordano-palestinesi Sumaya Abdel Qader racconta la storia di Horra, una donna musulmana velata che vive a Milano. La protagonista, parzialmente ispirata proprio alla biografia della sua autrice, combina nella quotidianità il lavoro presso uno studio di avvocati, la laurea in giurisprudenza, il volontariato con un’associazione che si occupa di donne, le uscite con le amiche e le relazioni familiari: la sua fede religiosa e il suo status di ‘straniera’ si intrecciano con tutti questi elementi, restituendo un quadro estremamente ricco sulla vita delle donne musulmane in Italia. Horra – nome che significa proprio “libera” – un giorno decide di rispondere a una giornalista che descrive le donne hijabi come vittime e oppresse, e lo fa con un post su Facebook nel quale parla del velo come di un gesto “ribelle e femminista”. L’autrice di questo romanzo, che al tempo dell’uscita del libro era anche consigliera comunale a Milano, è da anni impegnata come attivista: si occupa di diritti femminili, è tra le fondatrici dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia e ha contribuito alla realizzazione del docu-film Porto il velo, adoro i queen, con protagoniste tre donne musulmane velate.

Colpita dal modo schietto di Sumaya Abdel Qader di raccontare il rapporto di una donna musulmana con il velo e il proprio corpo in un Paese – l’Italia – in cui prevalgono stereotipi negativi sull’Islam, poco dopo l’uscita del libro ho avuto l’occasione di intervistarla per discutere proprio della sua opera e di queste tematiche. Così è nato il mio interesse per l’argomento affrontato in questo elaborato, che combina due realtà a cui sono particolarmente legata: il femminismo e le prospettive marginali – le voci e le storie di chi fatica a ritagliarsi uno spazio nel discorso pubblico. Questo è quello che accade a molte donne musulmane, che in quanto donne, straniere e fedeli di una religione considerata ‘pericolosa’ in Occidente, vedono spesso altri – uomini e/o occidentali – parlare al posto loro. Ho dunque deciso di provare a capire come le donne musulmane residenti in Italia – nello specifico nel Nord del paese – vivono il velo nella loro quotidianità e quali significati attribuiscono a questo indumento: per farlo ho raccolto una dozzina di interviste qualitative con ragazze di seconda generazione (che ho chiamato “figlie”), donne immigrate in Italia già adulte (le “madri”) e alcune figure pubbliche di religione islamica (le “attiviste”).

Nel primo capitolo di questo lavoro esploro le componenti storiche e religiose del velo, partendo dalla menzione di questa pratica nel Corano e approfondendo poi le sue interpretazioni nell’Islam, nonché la sua storia e la sua diffusione nelle zone del Mediterraneo. Qui riporto sia le posizioni di chi lo ritiene teologicamente obbligatorio che le opinioni di quelle studiose – sono infatti per la maggior parte donne – che reinterpretano questa prescrizione considerando come determinanti il contesto storico e sociale in cui il Corano e gli hadith furono rivelati. Sempre nel primo capitolo trovano spazio anche la prospettiva legislativa e quella mediale. Per la prima mi concentrerò sugli approcci politici al velo di due Paesi europei in particolare, ovvero Italia e Francia: oltralpe il cosiddetto affaire du voile è stato al centro di un lunghissimo dibattito pubblico incentrato sul principio di laicità dello Stato, mentre nella nostra penisola diverse amministrazioni locali hanno provato a promulgare leggi contrarie alla copertura del corpo femminile appellandosi a principi di sicurezza o ‘liberazione’ della donna. Per quanto riguarda la prospettiva comunicativa, sfrutterò una ricerca condotta da Simona Stano per analizzare come i media occidentali – nello specifico le riviste femminili italiane – hanno raccontato il velo e le donne musulmane dall’inizio degli anni Duemila.

Nel secondo capitolo mi focalizzo invece sul rapporto tra femminismo e alcuni Paesi musulmani, Egitto in primis: vedremo come i femminismi europei si sono interfacciati con il mondo musulmano e come le colonizzazioni hanno influenzato il dibattito sui diritti femminili in queste nazioni. Questa sezione, di impostazione prettamente storica, ripercorre lo sviluppo del cosiddetto femminismo islamico per poi fornire una panoramica delle differenziate posizioni presenti tra le studiose e le attiviste musulmane sulla parità di genere e l’hijab. Il capitolo si chiude con un ultimo paragrafo in cui viene analizzato il legame tra copertura del corpo e agentività, e in cui si introduce il concetto di agency religiosa, ovvero la libera sottomissione alla volontà divina – tema che viene poi ripreso nella sezione successiva.

Il terzo e conclusivo capitolo contiene i risultati della ricerca che ho condotto con donne e ragazze musulmane. Partendo dall’evidenza che per tutte loro – anche le due che non portano il velo – la copertura del corpo è un obbligo religioso, nel corso del capitolo indago il velo come simbolo identitario e di fede, come elemento di protezione e rispetto, nonché come strumento con il quale contrattare quotidianamente nelle relazioni con gli altri. Come ho già anticipato poco sopra, ricorrenti in questo capitolo sono il concetto di agency femminile e la sua possibilità di combinarsi senza annullarsi con la sottomissione a un’entità divina. In tutta questa sezione ho cercato di far emergere il più possibile le voci e le opinioni delle donne da me intervistate – musulmane, ma residenti da anni in un contesto occidentale –, limitandomi a collegare le loro esperienze, trovare punti in comune e mettere in luce le specificità di ognuna.

Per selezionare i temi da affrontare all’interno di queste interviste mi sono ispirata alle seguenti ricerche: Il pretesto del velo di Peruzzi, Massa e Bruno, e Giovani musulmane in Italia di Acocella e Pepicelli, che costituiscono i principali lavori qualitativi svolti sul rapporto tra donne musulmane e velo in Italia. Entrambi sono però focalizzati esclusivamente sulle seconde generazioni. Fonti straniere particolarmente utili come guida sono state le ricerche di Glapka e Hopkins e Greenwood, condotte rispettivamente in Sud Africa e nel Regno Unito, sempre con giovani donne musulmane. In tutti questi lavori, così come nel mio, non tutte le intervistate portano il velo – ma tutte si considerano musulmane. Nella mia ricerca ho deciso in primo luogo di spaziare in relazione alla variabile dell’età e di non limitarmi quindi a parlare con studentesse e giovani donne, bensì di includere anche immigrate di prima generazione, giunte in Italia già adulte tra gli anni Novanta e i primi Duemila. In secondo luogo ho scelto di coinvolgere anche alcune figure femminili che intervengono nella sfera pubblica, conosciute e riconoscibili per le loro attività sociali e dunque dotate di una certa ‘autorevolezza’. La ricchezza delle tre ‘categorie’ di intervistate (madri, figlie e attiviste) credo possa costituire la specificità di questa ricerca – per quanto, ovviamente, le interviste qualitative da me condotte non possano produrre alcun dato generalizzabile.

Per completezza, ho inserito alcuni estratti estesi delle trascrizioni delle interviste nell’Appendice allegata al termine dell’elaborato: in questo modo il lettore potrà verificare personalmente i contenuti e lo sviluppo delle conversazioni avvenute tra me e le intervistate.



Al termine della tesi c’è anche una nutrita bibliografia, per chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente l’argomento. Fatemi sapere cosa ne pensate 🙂

Alex

cultura, donne, Femminismo, Islam, storia

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