RECENSIONE: Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway

Già altre volte mi sono ritrovato a parlare di opere che sono definite “Classici”; mai però di fronte a simili testi mi sono esposto nel farvi una recensione critica, optando invece più per una mia interpretazione del messaggio o per un’analisi del fenomeno che questi libri hanno originato. 
In questo caso vorrei provare a fare qualcosina di più… ovvero cercare di raccontarvi perché Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway mi ha incantato, riportandovi anche le emozioni che questa lettura ha suscitato in me.

L’autore ci racconta la storia di un vecchio pescatore della Cuba del secolo scorso, a cui la dea bendata sembra essere ormai avversa: Santiago infatti non vede un pesce da ottantaquattro giorni, eppure non perde la speranza
Il testo si apre con un’introduzione dei personaggi che permette di assaporare tutta la semplicità e la ruralità dei piccoli e poveri insediamenti di pescatori delle coste dei Caraibi.
Il migliore amico di Santiago è un giovane ragazzo che ha imparato a pescare dal vecchio, in quello che in realtà è più un rapporto simil padre-figlio/ maestro-apprendista.
Il ragazzo è preoccupato per la salute dell’anziano e non vorrebbe che si avventurasse al largo da solo per tentare nuovamente la fortuna, ma l’uomo non perde la speranza, è deciso. Il giorno dopo uscirà al largo e, sulla sua piccola imbarcazione, pescherà il pesce più grande che si sia mai visto. 

“Anche il pesce è mio amico – disse ad alta voce – Non ho mai visto e non ho mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercar di uccidere le stelle” […]

Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la sua decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c’è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.”

La narrazione procede e il vecchio salpa poco prima dell’alba, raggiunge il largo, cala le sue lenze caricate di succulente esche e pazienta, fino a quando… un grosso pesce non abbocca e inizia a trainarlo sempre più lontano
Da questo momento inizia una vera e propria lotta a mani nude che durerà tre giorni, in cui la pazienza, il sangue freddo, la costanza e l’intelligenza del vecchio prevarranno sulla maestosità, la bellezza e la potenza del marlin. In questa lotta tra preda e predatore, però, i ruoli non sono ben definiti e il risultato non è mai scontato. Il vecchio – inizialmente – non sa con cosa sta lottando, ma sa che il suo corpo (unico strumento a sua disposizione per tenere la lenza) potrebbe cedere da un momento all’altro, provato dagli anni che ha vissuto e dalla fatica dello sforzo costante. Se solo il pesce si rendesse conto della sua forza potrebbe strattonarlo con violenza, sbalzando così il vecchio Santiago dalla sua piccola barca; la lenza potrebbe spezzarsi se solo il pesce nuotasse verso il buio degli abissi; l’amo potrebbe staccarsi se solo il pesce girasse su se stesso… Insomma, rimarrete con il fiato sospeso fino a quando l’arpione non trafiggerà il cuore del gigantesco marlin.

La lotta tra il vecchio e il grande marlin è una danza  di riverenze, è un duello tra pari e l’ammirazione che il vecchio prova per quel pesce lascia trasparire tutto l’amore che egli prova per il mare – o, per meglio dire, per “La Mar” (rivolgendosi all’oceano come a una donna da amare). 

Gli squali non lo azzannano più fino al tramonto. Il vecchio vide le pinne brune seguire la vasta scia che il pesce doveva aver fatto nell’acqua. Non indugiarono neanche sulla scia. Puntavano direttamente sulla barca, nuotando l’uno accanto all’altro.

Alla fine quando il vecchio riuscirà ad issare l’ambito premio al fianco della barca e si avvierà per tornare a riva, partirà un nuovo duello tra vecchio e mare – che in questo caso è “El Mar”, come se fosse un altro uomo, un avversario. Avversario che gli somministrerà una seconda sfida: quella di preservare il bottino dagli attacchi dei subdoli squali. 
A questo punto il registro cambia del tutto, non è più una lotta alla pari in cui il rispetto sembra essere la norma che regola il duello: qui tutto è lecito. Gli squali seguono la scia di sangue bramosi di addentare un boccone del succulento banchetto e Santiago tenterà di tenerli lontani dalla salma, che ormai non è più solo di un pesce – utile a guadagnare del denaro -, bensì anche di un vecchio amico. Tanto che a più riprese Santiago parlerà con la carcassa come se parlasse a un amico cui sente di aver fatto un torto, non essendo riuscito a proteggerlo dagli attacchi, permettendo che venisse mutilato nel corpo e lasciando quindi solo alla memoria la grandiosità di ciò che è stato. 
Santiago infatti perderà la lotta contro gli squali, che restituiranno al mare la maggior parte del marlin. Tornerà però a riva portando con se solo gli echi di quello che fu il pesce più grande mai visto, quanto basta per far nascere una leggenda.

“Mezzo pesce – disse – Tu che sei stato un pesce. Perdonami di essere andato troppo al largo. Ho mandato in malora tutti e due. Ma abbiamo ucciso molti squali, tu e io, e ne abbiamo mandato in malora molti altri. Quanti ne hai uccisi tu, vecchio pesce? Non hai certo quella spada sulla testa per niente.”

Questo breve romanzo ti trascina nella narrazione e ti fa vivere quello di cui leggi, grazie a una sapiente regia, a descrizioni perfette dei gesti dei personaggi e grazie all’utilizzo di un linguaggio che rimanda alle parlate popolari con i loro modi di dire e le loro forme particolari. 
Inoltre l’utilizzo dei termini della pesca e di alcuni modi di dire cubani facilita ancor di più l’immersione (anche se mi hanno portato a interrompere spesso la lettura per capire a cosa facessero riferimento).
Leggendo questo testo si sente il sapore della salsedine, il caldo abbraccio del sole, lo scroscio delle onde, si sente lo spirito della pesca… In altre parole, con Il vecchio e il mare Hemingway ti porta dove vuole e ti ci tiene incollato fino alla fine.

“Non hai ucciso il pesce soltanto per vivere e per venderlo, pensò. L’hai ucciso per orgoglio e perchè sei un pescatore. Gli volevi bene quand’era vivo e gli hai voluto bene dopo. Se gli si vuole bene non è un peccato ucciderlo. O lo è ancor di più?”

Per quanto concerne il significato, in diversi hanno riportato la volontà dell’autore di non parlare di altro che di una storia di pesca, niente significati profondi nè cervellotici, niente metafore volute. Niente di niente. Ma se è vero che l’arte ha la possibilità di ispirare una diversa lettura di significati da parte dei diversi fruitori… a me piace vedere questa storia come una enorme allegoria della vita, delle lotte dure, delle sfide affrontate per raggiungere i nostri piccoli sogni e grandi obiettivi, delle difficoltà e fatiche per arrivare e delle battaglie ancor più dure per vincere le insidie e gli imprevisti che possono distruggere ciò per cui abbiamo (con un po’ di fortuna) avuto modo di lottare; insidie che talvolta possono anche vincere e distruggerci (come Santiago dopo tre giorni di mare), ma che ci danno anche la forza di rialzarci, di riprenderci. 
Lettura un po’ banale, direte voi. Forse, rispondo io. Ovvio, ci si può vedere molto altro: in primis un elogio all’esperienza data dall’anzianità e alle imprese che ancora si possono compiere, una rilettura del significato della parola invecchiare. Come vedete, c’é molto molto di più.

La meraviglia di un essere umano è che in lui “tutto scorre” e, pur restando simile a se stesso, ogni giorno qualcosa di lui cambierà. L’opera d’arte, invece, è lì fissa ed immutabile nel tempo, ma diverso sarà il risultato del nuovo incontro con l’umano che, pur rimanendo sé, è cambiato. 
Per farla semplice? Vedremo che altri significati attribuirò a questo testo quando avrò modo di rincontrarlo in futuro.

“Ma ora, nel buio, e senza luci in vista e senza chiarori, e soltanto col vento e la spinta regolare della vela, gli parve di essere già morto, forse. Congiunse le mani e si tastò le palme. Non erano morte e gli bastava aprirle e chiuderle per risuscitare il dolore della vita.”


Voi cosa ne pensate? L’avete letto? Cosa vi ha raccontato questa storia? Fatecelo sapere nei commenti.

EMME

classici, Ernest Hemingway, Oscar Mondadori

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