RECENSIONE FILM: Words on Bathroom Walls (Quello che tu non vedi)

Adam è un adolescente schizofrenico appassionato di cucina, è all’ultimo anno delle superiori e per ora le voci nella sua testa non gli hanno causato troppi problemi. Eh già, da qualche tempo infatti Adam non è mai davvero solo: con lui ci sono spesso Rebecca, un’anima hippie che cerca sempre di calmarlo e di aiutarlo a considerare gli aspetti positivi di quello che gli capita; Joaquin, un ragazzo arrapato e senza filtri; The Bodyguard, che non ha un nome e che gli fa proprio da guardia del corpo. A volte, poi, arriva anche un quarto coinquilino della sua testa, un’entità misteriosa e terrificante che scombussola completamente il protagonista: non ha nome, non ha corpo, è solo una voce oscura; è nera, caotica, aggressiva, lo perseguita e lo terrorizza. Proprio un’intrusione di questa voce sconvolge la vita di Adam all’inizio del film: un attacco psicotico a scuola porta alla luce la sua malattia, e così inizia un lungo percorso in cui cura e accettazione si scontrano alla ricerca di un precario equilibrio.

Adam viene iscritto in una nuova scuola, un collegio cattolico, e inizia a provare una terapia sperimentale per contenere i sintomi della schizofrenia.

La componente vincente del film è sicuramente l’attore protagonista, Charlie Plummer, che riesce a raccontare ogni emozioni di Adam alla perfezione: è un personaggio sofferente, non ancora completamente disilluso, con tratti di speranza combinati con rabbia adolescenziale amplificata dalla schizofrenia; vuole sembrare normale ed essere accettato ma teme al contempo di perdere una parte di sé. Ho apprezzato molto il tentativo di rappresentare il conflitto provocato dal desiderio di “essere come gli altri” – che in questo caso vuol anche dire stare bene e tenere se stesso e gli altri al sicuro, non è certo solo una questione di conformismo, anzi – con la paura di dover cancellare tratti della propria identità, di dover abbandonare i propri sogni.
Adam una cosa ha sempre amato fare, una sola: cucinare. Per lui la cucina è pace e serenità, è l’unico momento in cui è sempre riuscito a isolarsi dalle voci nella sua testa e ad avere tutto sotto controllo. La cucina è ordine mentale, per lui.
Le sue nuove medicine funzionano alla grande… però hanno degli effetti collaterali, non gravissimi in sé, ma per lui devastanti: gli tremano le mani, fatica a sentire i sapori… E ora come può cucinare? Come può realizzare il suo sogno di iscriversi a un corso di alta cucina e diventare chef? E ha senso “essere normale” se poi non può fare ciò che lo rende se stesso? Ciò che dà un senso e una direzione alla sua vita?

Il film combina queste riflessioni con una tipica storia d’amore teen tra Adam e una sua compagna di scuola, Maya. Romance carina, ma secondo me non è il punto centrale (né il più forte) del film. Senza dubbio reputo più valevole l’approccio al tema della schizofrenia.
Non sono molto convinta del finale, lo ammetto, finale in cui amore e malattia si combinano per garantire un lieto fine. Non mi è dispiaciuto, ma nemmeno mi ha fatta impazzire. Io sono un’inguaribile ottimista, tuttavia forse forse un finale meno positivo mi sarebbe sembrato più adeguato – però le storie Young Adult non possono finire male, non davvero.

Quello che tu non vedi dedica anche una parentesi alla relazione genitori-figli, in questo caso con una sorta di triangolo familiare: la madre di Adam ha un nuovo compagno, Paul, con il quale il ragazzo non ha un ottimo rapporto… Si sente rifiutato, sbagliato, mal giudicato dal patrigno, quasi un peso per la famiglia. Verso la fine del film invece riceverà una sorpresa. Senza fare spoiler, dico con sincerità che l’abbraccio tra Paul e Adam è uno dei momenti più toccanti del film, perché questo gesto diventa emblema di affetto, protezione, comprensione genitoriale in assoluto.

Un rapido commento anche sulla concretizzazione in immagini della schizofrenia: molto coinvolgente. Non so dire quanto possa essere realistica, però sicuramente riesce a trasmettere allo spettatore la condizione presente nella testa di Adam; questo vale soprattutto per l’effetto orrorifico provocato dalla “voce oscura”.

In conclusione? Un film consigliato per tematiche, immagini e protagonista; non lontanissimo da molti cliché del genere, ma comunque in grado di offrire un’esperienza significativa.


Avete visto questo film? O letto il libro da cui è tratto? Cosa ne pensate?

Alex

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