RECENSIONE: La bibliotecaria di New York di Marie Benedict e Victoria Christopher Murray

TITOLO: La bibliotecaria di New York
AUTRICI: Marie Benedict e Victoria Christopher Murray
PAGINE: 396
EDITORE: Newton Compton

TRAMA: 1902. A soli vent’anni, Belle da Costa Greene viene assunta da J.P. Morgan, uno dei più ricchi finanzieri al mondo, per curare la collezione di manoscritti, libri rari e opere d’arte di proprietà del magnate. In poco tempo Belle diventa un punto di riferimento dell’alta società newyorkese e una delle figure più influenti nel mondo dell’arte e della cultura. Organizza mostre ed eventi mondani, è in contatto diretto con commercianti, case d’asta e studiosi sia in America che in Europa. Il suo gusto è considerato impeccabile. Ma Belle ha un segreto, che deve proteggere a tutti i costi: non è nata Belle da Costa Greene, ma Belle Marion Greener. È la figlia di Richard Greener, il primo nero laureato a Harvard, distintosi come attivista per la difesa dei diritti civili degli afroamericani. Il colore della pelle di Belle, quindi, non è legato – come tutti credono – alle sue origini portoghesi, ma africane. Negli Stati Uniti del primo Novecento, ancora profondamente razzisti, anche una donna potente e affermata come Belle sarà costretta a custodire il suo segreto, per continuare a fare quello che ama.

RECENSIONE

La protagonista di questo romanzo biografico è Belle da Costa Greene, nata nel 1879 come Belle Marion Greener. Figlia di due genitori afroamericani, la pelle sua e dei suoi fratelli non è mai stata molto scura, al massimo leggermente olivastra… caratteristica che ha permesso alla famiglia di passare per bianca e vivere come tale, in un contesto particolarmente razzista e via via più pericoloso per i neri americani. Belle dunque ha cambiato nome e per tutta la vita ha giustificato il colore “mediterraneo” della propria pelle inventando una nonna portoghese.
Con la sua nuova identità, Belle da Costa Greene fu la bibliotecaria che curò e sviluppò l’immensa collezione privata di J.P. Morgan, ricchissimo banchiere americano appassionato di opere d’arte e testi d’epoca. Questo romanzo ripercorre la carriera della protagonista da quando venne assunta dal magnate, fino alla morte di quest’ultimo e oltre, quando continuò a lavorare per il figlio, Jack Morgan, il quale seguendo le volontà del padre rese poi la biblioteca un’istituzione pubblica.
Il focus del libro è sul segreto di Belle, sul suo modo di condurre la propria esistenza sapendo di non potersi permettere errori e dovendo prestare attenzione a interpretare sempre alla perfezione la sua “parte” di donna bianca. Brillante e ambiziosa, la sua carriera fu strabiliante per l’epoca, così come fuori dal comune furono il potere e l’autonomia decisionale che Morgan le lasciò per tutto ciò che riguardava la biblioteca (e i soldi da investirci).

Gli elementi più interessanti del romanzo sono sicuramente la componente storica e le difficoltà interiori della protagonista, in primis il tormento legato alla sua identità. Suo padre era stato uno dei primi laureati di colore di Harvard e aveva fatto dell’attivismo per i diritti dei neri lo scopo della sua vita, mentre lei, sua figlia, viveva un’esistenza di inganno, costretta quasi a rinnegare le proprie origini (quando la madre aveva deciso di far passare la famiglia per bianca, i genitori si erano separati). Ho trovato ben descritto anche il modo in cui la protagonista impara, pagina dopo pagina, a gestire le relazioni con gli uomini che la circondano, dai vari esperti d’arte allo stesso Morgan. Per mettere a tacere i propri dubbi, Belle si costruisce pian piano una corazza di sfacciataggine ed esuberanza simulata, strumenti che usa per ammaliare chi le sta di fronte e concentrare l’attenzione su altro di sé, rispetto al colore olivastro della pelle. Ci sono poi dei riferimenti a realtà storiche poco note, come gli accenni a una ricca comunità di intellettuali neri in diverse città statunitensi e a coppie con relazioni aperte o lesbiche.

Nell’insieme devo ammettere però di aver trovato il libro un po’ troppo lento, privo di particolare guizzi stilistici. Alcuni dei momenti più tragici della storia, come la travagliata relazione della protagonista con l’esperto di arte rinascimentale Bernard Berenson, non mi hanno suscitato particolari emozioni. Ho vissuto il libro come un documentario, senza mai riuscire a “sentire” davvero Belle. Forse le autrici si sono concentrate troppo sull’aspetto biografico, dimenticandosi un po’ per strada “il romanzo”. Tra i tre libri che ho letto di Marie Benedict, questo si piazza dunque in fondo alla classifica: al primo posto rimane La donna di Einstein, dedicato a Mileva Maric, prima moglie di Albert Einstein (QUI la recensione).

Alex

donne, razzismo, recensione, storia

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