RECENSIONE: I vestiti che non metti più di Luca Murano

TITOLO: I vestiti che non metti più
AUTORE: Luca Murano
EDITORE: Dialoghi
PAGINE: 130

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TRAMA:
Chi siamo quando nessuno ci osserva? Possiamo davvero sentirci al sicuro? È realmente plausibile, in tali circostanze, riuscire a indossare e sfoggiare la parte più limpida di noi stessi? I protagonisti dei racconti che compongono la presente silloge prendono vita tra le pagine col desiderio di rispondere a queste domande, compiendo azioni apparentemente insignificanti e che invece restituiscono alle storie autenticità e tutta la grazia che può nascondersi dietro le banalità, le paure, le sofferenze e le speranze di cui sono intrinseche le loro esistenze. Una raccolta di outfit dimenticabili, ma di reazioni e gesti indimenticabili perché radicati in profondità in ognuno di noi. Uomini e donne sull’orlo della perdizione, studenti squattrinati, scrittori precari, giocatori d’azzardo, genitori sciagurati e figli egoisti che, con ironia e disincanto, scavano a fondo nella loro interiorità solo per scoprirsi vulnerabili, fallibili e, proprio per questo, umani.

RECENSIONE

Frammenti di storie e tensione a frammenti: così potrei descrivere I vestiti che non metti più, una raccolta di racconti firmata dall’autore Luca Murano.
Frammenti di storie perché ogni racconto cambia personaggi, ambientazione e in parte anche mood: abbiamo squarci di quotidianità, relazioni amorose finite male, conversazioni telefoniche surreali, gatti nei frigoriferi e molto altro ancora… Ogni racconto trasporta con pochissime parole il lettore in un mondo diverso dal precedente, rendendo subito facile l’identificazione con il protagonista (che a volte è anche narratore) – nonostante la continua variazione di quest’ultimo. Le voci sono quasi tutte maschili, ma non considero la scarsità di punti di vista femminili come una mancanza, anzi… i personaggi creati dall’autore sono estremamente efficaci così come sono.
Tensione in frammenti perché ogni racconto finisce (e spesso anche inizia) nel bel mezzo di qualcosa, di un evento che rimane interrotto, sospeso, spezzato sul più bello (o sul più brutto); in molte pagine la tensione cresce per diverse righe e poi si rompe nel modo più imprevedibile possibile, o addirittura semplicemente l’autore blocca la storia e passa a quella successiva. Devo ammettere che questa struttura qualche volta mi ha infastidita: avrei voluto sapere di più di molti personaggi, scoprire il vero finale della loro storia… ma in fondo la vita è così, no? Non sempre c’è una conclusione vera e propria, come nelle commedie o nei gialli, dove il cerchio si chiude e alla fine tutti i nodi vengono al pettine. Immagino che l’autore abbia lavorato con lo specifico scopo di lasciare nel lettore questo senso di “sospeso” e inconcluso.
Il filo conduttore della raccolta è infatti il senso di decadenza che pervade i racconti, una decadenza a volte triste, passiva, grigia e cupa, altre più energica e articolata. Una decadenza spesso banale quanto intrigante che viene riassunta perfettamente nel titolo: I vestiti che non metti più.
Il libro si adatta bene a una lettura frammentata quanto sono le storie che racconta; il mio consiglio è di leggere comunque più racconti uno in fila all’altro, per riuscire a godere a pieno del loro fascino.
In poche parole? Una proposta affascinante.

Cosa ne pensate? Vi ispira?

Alex


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