RECENSIONE: Habibi di Craig Thompson

TITOLO: Habibi
AUTORE: Craig Thompson
EDITORE: Rizzoli Lizzard
PAGINE 672
TRAMA:
In un panorama epico fatto di deserti, harem e labirintici agglomerati urbani traboccanti di vita e di miseria, si dipana la storia di due anime schiave, portate l’una nelle braccia dell’altra da un destino nato e cresciuto per restare eterno. Lei è Dodola: bambina, poi donna, poi madre imprigionata in un mondo di uomini. Lui è Zam, orfano che nella ragazza – e nelle storie della cultura e della mitologia islamica con cui lei lo crescerà – troverà un amore assoluto, viscerale, indispensabile. Dai miseri villaggi a sud della prosperosa Wanatolia, al deserto popolato di nomadi e criminali, all’opulenza del Palazzo del terribile Sultano, Habibi (“mio amato”) traccia nelle morbide curve della calligrafia araba una parabola sul nostro rapporto col mondo naturale, sull’abissale divario tra primi e terzi mondi, sull’eredità comune di cristianesimo e islamismo e, soprattutto, sulla magica, insostituibile forza del racconto.

RECENSIONE

Raramente leggo fumetti. Sì, ho avuto il mio periodo manga, ma si è sublimato nel giro di poche storie “Shonen”. In generale faccio fatica ad accordare ciò che vedo nei disegni – in cui tendo a soffermarmi nel tentativo di carpire la tecnica dell’autore/disegnatore – con ciò che i personaggi dicono. Tra quelle pagine tendo a perdermi, soprattutto quando raccontano storie action e veloci. 

Di Craig Thompson avevo già letto Blankets, una storia che mi ha fatto innamorare per la sua genuina semplicità, una storia d’amore pura e cruda: non che succeda nulla di brutto beninteso, ma cruda perché alla fine lascia quel gusto dolceamaro che tanto mi piace; insegna tuttavia anche una morale significativa e importante per chiunque si trovi ad affrontare “il primo amore”, riassumibile nella necessità di lasciare andare, accettare e crescere.
Inoltre il tratto dei disegni – generalmente semplice ma non pulitissimo, che esplode in tavole a dir poco barocche in quanto a decori che divengono parte integrante della scena – ha appieno appagato il mio senso preferito. Perfettamente in linea con i toni e i ritmi della narrazione, lo stile è riuscito a trascinarmi nella storia comunicando in immagini alla perfezione stati d’animo, pensieri e ambienti che nei romanzi occupano pagine e pagine di descrizioni. 
Questo è il vantaggio del mezzo visivo che le graphic novel come Blankets e Habibi sfruttano a pieno.
Questo post però non intende soffermarsi sulla prima opera di Thompson, qui si parla di Habibi.

Habibi è un’opera… particolare.

Il tono del racconto è lontano anni luce da quello di Blankets, così come lo stile dei disegni e delle tavole, che qui sono quasi sempre ricche di elementi  pur conservando la riconoscibilissima mano del disegnatore.

Il racconto narra sempre dell’amore, ma questa volta racconta di un amore che dura per una vita e che si fa motore della storia dei due protagonisti, da un lato motiva a vivere e dall’altro motiva a crescere. Questo amore viene affrontato ponendo particolare enfasi su tre sue diverse sfaccettature: l’amore di un fratello e di una sorella, l’amore di una madre verso un figlio e l’amore di due amanti uniti oltre le carni.
La vita degli sfortunati Dodola e Zam è infatti vissuta a mezzo flashback e flashforward fino al loro presente, e nella loro relazione si hanno molti passaggi importanti e traumatici. 
Habibi racconta di DUE vite ed è difficile riassumere la grandezza di quest’opera in poche righe. 
Come ho detto il tema che fa da fil rouge per tutta la storia è quello dell’amore in continua trasformazione tra i due protagonisti, ma l’autore affronta nel mezzo temi importantissimi come il sacrificio per la sopravvivenza di chi si ama, la schiavitù, la prostituzione, la religione, la crescita e l’idealizzazione di un amore che è sacro nello spirito e profano nella carne, che si svuota del suo significato più profondo e che fa paura e fa sentire inadeguati. Parla di transessualità, parla di inquinamento e fa denuncia sociale verso le differenze di classe. 

L’ambientazione mediorientale rende questa storia ancor più esotica e fa respirare una storia da terra lontana (e fa anche venire voglia di leggere Le mille e una notte); inoltre mette in luce da un lato le bellezze della cultura araba e dall’altro le sue incongruenze e i suoi cortocircuiti.
In aggiunta le storie raccontate da Dodola, che sono il filo conduttore degli avvenimenti narrati dai singoli capitoli, sono tratti dalle Sure del Corano e danno uno spaccato di una religione musulmana diversa e più profonda delle narrazioni che spesso e volentieri arrivano a noi.
In alcuni tratti la storia è eterea e fiabesca, in altri e cruenta e terribile, in alcuni momenti si ride e in altri si è in preda alla paura, proprio come i suoi personaggi: noi siamo lì… con loro.

E per fare questo Thompson si avvale del mezzo visivo: i suoi disegni.
Essi sono un accompagnamento magistrale, delicati e piacevoli in un primo momento, eterei e sognanti  in un secondo, crudi e brutali in un terzo. Lo stile dei disegni si adatta alla perfezione, arrivando a calzare come un guanto perfetto a ciò che viene narrato.

Habibi, però, non è un’opera facile (al contrario del fratello minore) e, sicuramente, non è per tutti i palati: chiede mente aperta per essere letta e vuole che lo si faccia con calma e prendendosi il tempo che occorre; chiede che si ragioni su ciò che si legge e che si entri appieno nella narrazione. Leggendo troppo in fretta, infatti, si rischia di perdersi nella quantità di informazioni e disegni, rischiando di cadere nell’effetto “trip da allucinogeno” e non cogliendo così il reale senso del testo.
In ogni caso, se la leggete nel modo giusto, Habibi è un’opera che non può che estasiarvi per suoi disegni fantastici e che non vi lascerà indifferenti per i temi e il viaggio che alla fine vi avrà raccontato.


Cosa ne pensate? Leggete fumetti/graphic novels di solito? 
Fatemi sapere se piacerebbe leggere Habibi.

EMME

amore, fumetti, recensione

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