In mille parole #18: Vincenzo Di Fazio di Adelaide J. Pellitteri

Buongiorno a tutti e tutte!
Un altro giro del nostro concorso In mille parole si è appena concluso e noi siamo pronti per svelarvi la classifica. Il tema di questo bimestre era “L’ultima notte della mia vita” e, come sempre, gli autori e le autrici partecipanti sono riusciti a stupire la giuria (questo mese composta da Alessandro Ricci e Benny del blog Ioamoilibrieleserietv, in aggiunta alle solite giudici Alex e Simona).

Ecco qui i tre racconti che hanno ottenuto i punteggi (giuria + sondaggio popolare) più alti:

1. Vincenzo Di Fazio di Adelaide J. Pellitteri
2. L’ultima mattina della sua vita di Alessandro Gnani
3. Il carillon di Massimiliano Agarico

Qui sotto potete leggere la versione integrale del racconto vincitore, che per questo bimestre corrisponde anche al mio racconto preferito (quindi non pubblicherò un secondo racconto). Come sempre, trovate tutti i racconti sul nostro gruppo Facebook, QUI.

Arrivo con armi e bagagli, qui non mi mancherà nulla, così come niente mancò mai a mio nonno.
Da quassù, il paese sembra sia a un tiro di schioppo, ma è alla giusta distanza. Finirà che mi chiameranno l’eremita. Mio nonno lo chiamavano così.
Lui qui c’è nato e c’è anche morto.
Non volle mai scendere in paese e nemmeno in città, neppure per venire a vedere come era rinata Palermo distrutta dai bombardamenti.
“In questo fortino – mi raccontava mio padre – il nonno ha accolto e sfamato partigiani e sfollati durante la guerra”. Poi concludeva “In paese dovrebbero fargli una statua d’oro”; mentre mia madre lo prendeva in giro dicendo “non si allontanava mai da lì per non lasciare incustodito il tesoro”, e io giù a ridere con lei. Alludeva alla Cascina che non era certo una baita, e che nonno non dotò mai di alcun confort.
Ero stato io a battezzarla “il fortino” negli anni in cui lì ci giocavo agli indiani. E fortino era rimasto il suo nome per sempre.
Sono il nipote di un eroe e, quanto prima, mi sono ripromesso di andare a parlare con il sindaco per provare a sondare il terreno circa la possibilità di far dedicare a mio nonno almeno una strada. Magari il corso principale che porta ancora il nome dei Principi Trupìa. Blasonati di scarsa nobiltà.
Quale motivazione migliore per dedicare quel corso a mio nonno se non l’aiuto dato a tanti compaesani? Che senso ha mantenere il nome di un casato che invece ha imposto per secoli la sua signoria sfruttatrice?
Ho mille progetti e domani arriverà l’architetto con la squadra per far diventare questo tugurio il mio rifugio di montagna. Sono stanco della città, dei suoi vizi, la sua anima è irrecuperabile, voglio allontanarmene definitivamente. Adesso che, grazie a cinque anni di scivolo, sono in pensione posso ritirarmi in questo pezzo di paradiso. Almeno è questo che conto di farlo diventare.
Ringrazio mio padre che ha tenuto in piedi questa baracca con un minimo di decenza, così, accomodati i bagagli comincio la mia perlustrazione.
La possibilità di poter finire i miei giorni dove ha vissuto mio nonno mi inorgoglisce.
Ho intenzione di contattare anche qualche giornalista cui raccontare la storia di questo eroe senza medaglia.
Tra un passo e l’altro avverto dei vuoti sotto il pavimento, cerco di prestarvi attenzione, do qualche colpetto al legno, ascolto il rumore diverso che fanno le assi e ne ho la conferma. Comincio a tastare il pavimento carponi, cerco di capire meglio, quando la pressione più decisa in un punto rivela un’asse libera dall’inchiodatura. Provo a tirarla via, ma si solleva un pannello intero di circa un metro per un metro. Una scaletta porta a un piano interrato del quale non sapevo nulla, del quale mio padre non mi ha mai parlato.
Immagino sia il ricovero dove mio nonno nascondeva i fuggitivi, o dove teneva i viveri per sfamarli.
Recupero una torcia e scendo giù, non è profonda, diedi gradini appena. Intravedo quattro bauli abbastanza grandi, ne sono sorpreso.
Che sia il tesoro del quale ridevamo con mia madre?
Le serrature sono arrugginite e devo tornare su a prendere qualche attrezzo; in casa non mancano pinze e cacciaviti.
Devo smanettare un po’ per riuscire ad aprire il primo, e questo mi dà la conferma che nemmeno mio padre ci ha mai messo mani. Lui è stato qui fino all’estate scorsa poi, di notte un infarto e se n’è andato, da solo, ma di certo felice di potere riabbracciare suo padre.
Risalgo come inseguito da mille demoni, arraffo tutto ciò che avevo a mala pena sistemato per la mia permanenza durante i lavori. Afferro le chiavi della macchina, ingrano la marcia e scappo via, giù verso la città.
Sudo, tremo, provo conati di vomito e fatico a trattenere ciò che ho mangiato stamane, ma anche ieri e l’altro ieri. Vorrei vomitare l’anima, se fosse possibile. Mi fermo, accosto al guardrail, da qui il paese sembra minuscolo, mentre il mio disgusto è smisurato.
Vi avessi trovato cadaveri, dento quei bauli, sarei stato felice; avrei immaginato degne sepolture per i poveri disgraziati morti nonostante l’aiuto di mio nonno. Ma ciò che ho trovato è aberrante, e non ha giustificazione.
Vorrei strapparmi dal volto il sorriso che mi dicono essere identico al suo, vorrei poter cancellare il cognome che ho, e l’idea che mio figlio porti in giro per il mondo il suo stesso nome mi fa ribrezzo.
Li ho aperti tutti e lì per lì sono rimasto abbagliato: candelieri d’argento, anelli di smeraldi, zaffiri, rubini, gioielli d’ogni tipo, vassoi d’argento, quadri, armi…, perfino un ostensorio, forse appartenuto alla vecchia cattedrale tanto stupefacente la cesellatura. I bauli sigillati hanno mantenuto il tesoro intatto. Mi sembrava di essere davanti alla refurtiva che si vede nel film dei pirati.
Il valore: incalcolabile.
Ogni singolo oggetto aveva un cartellino attaccato.
Ho letto e rabbrividito.
Ho creduto di non aver compreso. Ho riletto il primo cartellino, poi il secondo, il terzo… Mi sono accasciato sul pavimento scioccato.
Mentre lo stomaco cominciava già le sue contrazioni e nel petto cresceva l’affanno ho voluto ancora leggere per essere certo, ho preso un candeliere e sul cartellino ho letto: 2 ottobre 1943 notaio Li Manni con la figlia, la piccola Marilena, candeliere d’argento a cinque braccia in cambio di tre giorni di rifugio senza cene. In quello attaccato a un anello, invece c’era scritto: 7 luglio 1943 Principi Gualtiero e Mafalda Trupìa; anello con smeraldo in cambio di due notti di rifugio e una sola cena, due uova e una fetta di pane nero. In un altro ancora: 12 febbraio 1944 Padre Gesualdo, ostensorio della Matrice in cambio di tre fette di pane nero.
Ho percepito la dannazione afferrarmi la gola, se fossi rimasto ancora un minuto sarei morto soffocato, o forse è accaduto davvero perché, nonostante sia riuscito a fuggire, posso affermare senza alcun dubbio che: Vincenzo Di Fazio, il fiero nipote dell’eroe, è morto stanotte.

L’AUTRICE: Adelaide J. Pellitteri

Mi chiamo Adelaide e vivo a Palermo dal 15 agosto del 1961, giorno in cui sono nata. Quinta di cinque femmine, in casa non sono mai mancate fantasia prolifica e creatività pratica. Ho avuto la fortuna di giocare tantissimo con le mie sorelle e i bambini del vicinato nel giardino dietro casa. La passione per la scrittura, però, era già nel mio DNA; il mio bisnonno scriveva commedie popolari e poesie, una delle mie sorelle componeva canzoncine per le recite della scuola e mio nipote, agli esami di terza media, ha scritto un compito di italiano lungo tredici pagine senza andare fuori tema. Bene, ho presentato tutta la famiglia e così si è capito che alle radici ci tengo. Ahimè, ho sposato un milanese che si lamenta sempre dell’inefficienza della mia città, ma nonostante ciò, dopo trentatré anni di vita insieme, mi va ancora a genio.
Pur avendo conseguito il diploma di figurinista (dopo avere abbandonato il liceo classico), scrivere è sempre stata la mia vera passione; la coltivo da decenni con impegno, dedizione e studio costante. Grazie a ciò, alle pareti di casa ho appeso qualche riconoscimento, l’ultimo l’ho ricevuto al concorso Paolo D’Amato per la mia prima opera letteraria, una raccolta di racconti dal titolo Donne fino a epoca contraria pubblicato da L’Erudita. Tantissimi, inoltre, sono i racconti pubblicati da diverse Case Editrici nelle antologie AA.VV.
Frequento con piacere i blog e i forum letterari che trovo stimolanti per la creatività, utili per lo scambio di informazioni e indispensabili per un confronto quotidiano finalizzato a migliorami.
Spinta da una passione irrefrenabile per la lettura, non da critico letterario ma da lettrice pura, scrivo recensioni per il blog VCUC.
Tra gennaio e febbraio è prevista l’uscita del mio primo romanzo.


Cosa ne pensate? Vi è piaciuto il racconto?
A presto con il prossimo tema!

Alex

Adelaide J. Pellitteri, autori emergenti, concorso letterario, Racconti brevi

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