BRIDGERTON: tra cast multietnico, patriarcato e un romanzo di bassa qualità

La serie tv Netflix narra – come credo ormai tutti sappiano, visto l’immediato successo riscosso dalla prima stagione, pubblicata sulla piattaforma a Natale – le vicende di Daphne Bridgerton, giovane donna alla ricerca di marito nell’Inghilterra della Reggenza.

Questa non sarà una vera e propria recensione, perché mi soffermerò solo su alcune questioni che in particolare hanno catturato la mia attenzione.

Prima tra tutte è l’innovativa quanto discussa decisione della produzione di affidare la rappresentazione a un cast multietnico – la storia originale da cui è tratta la serie tv, l’historical romance Bridgerton: The Duke and I di Julia Quinn, infatti è un romanzo “historical” classico, che non prova in alcun modo a stravolgere personaggi e ambienti storici a cui fa riferimento.
Di solito io sono una ferma sostenitrice del “realismo storico” nelle riproduzioni contemporanee, ovvero credo che attuare stravolgimenti storici in nome di un politicamente corretto estremizzato sia, in realtà, tutto tranne che politicamente corretto. Perché fare blackwashing è tanto grave quanto fare whitewashing e in particolar modo perché affidare “storie bianche” ad attori “non bianchi” non fa altro che continuare, implicitamente, a sostenere che solo le “storie bianche” sono degne di essere raccontate: sarebbe, insomma, per me molto più sensato dare rilievo anche a storie di personaggi storici di altra etnia.
Fatta questa doverosa promessa, mi sento però di ammettere che il cast multietnico di Bridgerton non mi ha causato nessuna irritazione da “rivisitazione storica”. Perché? Perché secondo me Bridgerton non prova in alcun modo a riscrivere la storia, non prova nemmeno per sbaglio a fingere di essere vero, o anche solo storicamente verosimile. Bridgerton, fin dai primi minuti, si presenta come una storia di fiction, una finzione. Credo che gli autori abbiano lasciato i riferimenti di anno e luogo originali del libro solo per accendere immediatamente negli spettatori tutta una serie di richiami culturali che potessero aiutarli a inquadrare subito la mentalità dell’epoca – maschilista, patriarcale, con forti richiami austeniani. Il mondo di Daphne chiaramente non è la Londra della Reggenza, sembra più che altro una sorta di universo parallelo e, credo, solo un folle potrebbe non accorgersi dello spirito un po’ ironico che pervade l’intera stagione. Netflix ha un po’ voluto “fare il verso” alla realtà storica, dando al tutto un’aria birichina, a tratti un po’ parodica, leggera, che non si prende mai sul serio. (Insomma, direi che la Regina che sniffa coca potrebbe essere un indizio più che evidente di tutto ciò, non credete anche voi?). 
Ecco, forse sarebbe stata una scelta ancora migliore lasciare il riferimento all’anno, cambiando però la collocazione geografica, usando magari luoghi di fantasia, cosicché ogni pretesa di realismo potesse essere tranquillamente accantonata e ogni polemica zittita fin dall’inizio.

Un altro tema che vorrei portare alla vostra attenzione è il controllo del corpo femminile che pervade le culture patriarcali. Tutti conosciamo le avventure delle protagoniste di Jane Austen, circondate da una società che considera le donne dei “fallimenti” se non riescono a sposarsi e a mettere al mondo dei figli. Certamente il patriarcato si fa ben vedere già da questa semplice premessa… Tuttavia credo che Bridgerton riesca a mettere ben in luce anche un’altra componente della cultura patriarcale, vale a dire come l’ignoranza intorno a tutte le pratiche sessuali, affettive, di relazione con il proprio e altrui corpo – ignoranza in cui le donne per secoli sono state costrittivamente tenute – si traduca nell’impossibilità di prendere decisioni autonome, di decidere per se stesse. Le donne sono state, in breve, in totale balia delle decisioni di uomini, anche per quello che di più “nostro” pensiamo di avere, ovvero il corpo. Il modo in cui Simon approfitta dell’ignoranza di Daphne non fa sorridere: fa arrabbiare. E giustamente anche la protagonista si rende poi conto di quanto questa mancanza di educazione sessuale sia mostruosa nei suoi effetti sulle donne. 
[SPOILER: perché costringere una donna a non avere figli è orribile tanto quanto obbligarla a partorirne uno all’anno.]

Le tematiche femministe ritornano anche in altre sfumature in tutta la serie, e dove non è propriamente “femminista” la narrazione è spesso quantomeno “femminile”, incentrata su dilemmi e ingiustizie subiti dalle donne. Queste questioni si incarnano in personaggi diversi, ognuno dei quali le concretizza in maniera differente: da Daphne che vuole sposarsi per amore e che nel corso della narrazione impara sulla sue pelle cosa voglia dire essere donna, a Eloise che non ha nessuna voglia di “fare la moglie” e che vorrebbe andare all’università, fino a Marina che invece sperimenta il giudizio più crudele del tempo sulle donne “senza virtù”.
Nella loro ingenuità, anche i personaggi maschili – spesso involontariamente, senza “cattiveria” – portano alla luce la disparità di genere con i loro comportamenti “da uomini”. E anche qui io tenderai a trarne un piccolo insegnamento: quanto spesso nella nostra vita quotidiana riproduciamo, senza rendercene conto, una cultura sbagliata, offensiva, che sminuisce l’Altro?

Tematiche razziali e femministe a parte, a mio parere questa serie TV riesce a intrattenere senza mai annoiare: a tratti è molto leggera, poi qua e là inserisce spunti e “citazioni” ben più interessanti – Jane Austen in primis, Gossip Girl in secundis. I vari personaggi si incastrano assai bene tra loro, dando vita a relazioni da esplorare su più livelli; le emozioni non mancano affatto.

Concludo questo commento parlandovi brevemente del libro: ho letto il primo volume della serie dopo aver visto la trasposizione di Netflix e devo ammettere che, seppur con tutte le sue particolarità, la versione TV è parecchie spanne sopra il romanzo. Quest’ultimo mi è parso proprio come un banalissimo historical romance di bassa qualità: una storiella d’amore con qualche sfumatura erotica (e un protagonista maschile la cui infanzia problematica sembra ancora più cliché che su Netflix), nella quale lo sfondo storico è solo un pretesto perché in realtà all’ambientazione e al realismo storico nelle relazioni tra i personaggi non è dato alcun peso (tantoché nelle chiacchiere tra i protagonisti non ho trovato nulla di ottocentesco). La serie TV almeno riesce a non prendersi sul serio, a darsi un registro spensierato con vene di romanticismo; il libro pare un qualunque romanzetto tra i tanti poco curati del suo genere (peccato, perché si possono scrivere historical romance di qualità, ma questo non è il caso).


Avete già visto la serie TV o letto i romanzi? Cosa ne pensate?

ALEX

Bridgerton, donne, Femminismo, Netflix, serie tv

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