RECENSIONE: I giorni del ferro e del sangue di Santi Laganà

TITOLO: I giorni del ferro e del sangue
AUTORE: Santi Laganà
PAGINE: 564
EDITORE: Mondadori

TRAMA:
Patrimonio di San Pietro, 960 d.C. Sul trono papale siede un adolescente perverso e corrotto, ciò che resta dell’Italia indipendente è allo sbando dilaniata da lotte intestine e le campagne sono una terra di nessuno dove la violenza e il sopruso la fanno da padroni. Anna è una contadina di quindici anni che conduce un’esistenza misera e asservita. Quando la sua famiglia viene trucidata e l’ultimo fratello rapito per essere ridotto in schiavitù, decide di continuare a vivere per inseguire quell’ultimo brandello di affetti e, sorretta da una volontà indomita, inizia una dolorosa peregrinazione per terre sconosciute e ostili, tra aiuti misericordiosi e feroci violenze. Nel suo tormentato cammino incontrerà un cavaliere dall’oscuro passato e un improbabile presente, un vecchio dall’aria mansueta che nasconde insospettabili risorse e un giovane vagabondo sfrontato e generoso: una strana compagnia con cui cercherà di farsi giustizia fin dentro i palazzi più segreti di Roma. Ambientato in uno dei periodi meno conosciuti e più bui della nostra storia, “I giorni del ferro e del sangue” è un affresco senza filtri né retorica di un’epoca brutale quanto affascinante, ma anche la parabola di una protagonista: una giovane donna che nel più maschilista dei mondi non si rassegna a un destino già scritto e tenacemente lotta per conquistarsi il diritto a una vita migliore.

RECENSIONE

Un romanzo storico molto interessante, ambientato in un periodo – il X secolo – in cui la confusione regna sovrana: la penisola suddivisa in una moltitudine di regni dà luogo a un’instabilità permanente, il clima di diffidenza che regna tra popolo e potenti, tra potenti e Chiesa, tra Chiesa e popolo, tra poveri che vivono di espedienti e poveri che cercano di restare onesti è davvero sconcertante. Il Medioevo che l’autore ci dipinge è tenebroso, gli sprazzi di luce sono quasi inesistenti e l’autore si cura di farcelo sapere fin da subito.

Un valvassore di Alsium dalla dubbia reputazione infatti sta rastrellando alcune zone rurali nei dintorni di Caere Vetus, l’odierna Cerveteri, in cerca di sei giovinette di bell’aspetto che gli è stato riferito vivere nei dintorni. Il cavaliere insieme ai suoi sgherri penetra nell’umile casa di un contadino vedovo padre di cinque figli: non trovando indicazioni utili al ritrovamento di una delle fanciulle, finirà per trucidarlo insieme ai suoi figli più piccoli, mentre il maggiore, Martello, verrà catturato per compensare la fanciulla che non si trova. Anna, la figlia del contadino che per pura combinazione era fuori casa, è così fortunata da salvarsi: riesce a capire da qualche indizio e qualche testimone di passaggio che quegli assassini sono gente da cui tenersi alla larga; dopo aver dato sepoltura a suo padre e ai fratellini, si rifugia in un eremo presso un amico del genitore, che le darà rifugio temporaneamente ma le consiglierà di allontanarsi al più presto, indicandole a chi rivolgersi e consigliandole di non fidarsi mai di nessun altro. E così cominciano le peregrinazioni di Anna, che si dà subito un obiettivo: quello di salvare il fratello che, da quel poco che è riuscita a sapere, è destinato a essere venduto come schiavo, probabilmente a Roma, città che viene subito bollata come la capitale del vizio e del malaffare. Ma la strada per Roma è lunga, anche se sono solo una quarantina di chilometri: Anna sarà costretta ogni tanto a fidarsi di qualcuno, con conseguenze drammatiche nella maggior parte dei casi; nel contempo, incontrerà però compagni di viaggio che la aiuteranno prima a compiere la sua vendetta, e poi a rintracciare il fratello rapito.

La galleria di personaggi che conosciamo in questo romanzo è molto ricca: di alcuni di loro purtroppo non sapremo più nulla, mentre altri contribuiranno a costruire un finale di speranza, dove i protagonisti troveranno finalmente un po’ di pace.

Di questo romanzo mi è piaciuta la parabola dei personaggi, che senza essere eroi né superuomini sono arguti, coraggiosi, e non si tirano indietro al momento di aiutare Anna: forse anime affini che si riconoscono nel clima tetro che avvolge l’umanità in un periodo drammatico della storia d’Italia.

A parte questo, devo dire che per la verità – forse perché sono una forte lettrice di romanzi storici – alcuni punti della narrazione invece mi hanno un po’ sconcertata.
Anna non è certo una sprovveduta, anche se ha solo quattordici o quindici anni: suo padre l’ha educata a essere sempre vigile, a difendersi dai continui pericoli, a cibarsi di quello che la natura può offrire; non è stata quindi abituata ad essere protetta, come ci si potrebbe aspettare in una famiglia di contadini dell’epoca: tuttavia, le sue aspirazioni di emancipazione sembrano un po’ anacronistiche, per una fanciulla vissuta nel X secolo. La sua personalità è altalenante: a volte commette ingenuità che in lei ci paiono un po’ improbabili, vista la sua determinazione e durezza in altre circostanze.
I suoi comprimari, i compagni di viaggio che lungo la strada si uniscono a lei, sono molto interessanti, ma ammetto che avrei voluto sapere molto di più su di loro: certi tratti sono solo abbozzati, alcune loro scelte non appaiono ben circostanziate; quindi in certi punti il romanzo perde incisività, facendo apparire alcuni sviluppi un po’ casuali e perciò meno avvincenti.

Altro elemento un po’ stonato, che penalizza particolarmente la prima metà del romanzo, è il continuo succedersi di violenze di cui è vittima soprattutto Anna: certo non paiono episodi inverosimili in quel periodo storico così buio, ma a mio avviso la descrizione di questi fatti si riduce a un freddo elenco di atti di malvagità che se da una parte potranno turbare un certo tipo di lettori, dall’altra non aggiungono quasi nulla alla vicenda; per capire quale calvario abbia dovuto sopportare Anna durante il suo viaggio sarebbe forse bastato un racconto più sintetico ma che toccasse più in profondità la sensibilità del lettore.

Da ultimo, mi sarebbe piaciuto che il contesto storico in cui si muovono i personaggi fosse stato descritto in modo più completo: è talmente intenso e avventuroso, pieno di capovolgimenti di fronte, di personaggi ambigui e chi più ne ha più ne metta, che sembra esso stesso un romanzo, e non è facile vederci chiaro; anche solo una cartina sarebbe stata d’aiuto. Anche il linguaggio non mi ha convinta del tutto: si può scegliere uno stile classico, ed evitare parole smaccatamente moderne, oppure si opta per un linguaggio contemporaneo; questa potrebbe essere senza dubbio una scelta interessante, ma dovrebbe essere coerente per tutta la lunghezza del romanzo.

Concludendo, un romanzo storico che malgrado alcuni discreti punti di forza che lo rendono intrigante ci lascia un po’ insoddisfatti e soprattutto con la voglia di saperne di più sul “secolo di ferro”.


Fatemi sapere cosa ne pensate,

Alice Croce Ortega

Mondadori, recensione, storia

Commento

  • Francesco Casale

    Due errori : contadino con in bocca una pipa di terracotta, per fumare cosa? Tabacco no perché la scoperta dell’America è ancora lontana , droghe? Impossibile. Si parla poi di eucaliptolo come pianta medicinale , ma questa veniva dall’Australia. Per il resto trama scorrevole e ben ambientata.

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