RECENSIONE: Fu sera e fu mattina di Ken Follett

TITOLO: Fu sera e fu mattina
AUTORE: Ken Follett
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 792

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TRAMA
Il prequel de “I pilastri della terra”. 17 giugno 997. Non è ancora l’alba quando a Combe, sulla costa sudoccidentale dell’Inghilterra, il giovane costruttore di barche Edgar si prepara con trepidazione a fuggire di nascosto con la donna che ama. Ma i suoi piani vengono spazzati via in un attimo da una feroce incursione dei vichinghi, che mettono a ferro e fuoco la sua cittadina, distruggendo ogni cosa e uccidendo chiunque capiti loro a tiro. Edgar sarà costretto a partire con la sua famiglia per ricominciare tutto da capo nel piccolo e desolato villaggio di Dreng’s Ferry. Dall’altra parte della Manica, in terra normanna, la giovane contessa Ragna, indipendente e fiera, si innamora perdutamente del nobile inglese Wilwulf e decide impulsivamente di sposarlo e seguirlo nella sua terra, contro il parere di suo padre, il conte Hubert di Cherbourg. Si accorgerà presto che lo stile di vita al quale era abituata in Normandia è ben diverso da quello degli inglesi, la cui società arretrata vive sotto continue minacce di violenza e dove Ragna si ritroverà al centro di una brutale lotta per il potere. In questo contesto, il sogno di Aldred, un monaco colto e idealista, di trasformare la sua umile abbazia in un centro di erudizione e insegnamento entra in aperto conflitto con le mire di Wynstan, un vescovo abile e spietato pronto a tutto pur di aumentare le sue ricchezze e il suo potere. Le vite di questi quattro personaggi si intersecano, in un succedersi di continui colpi di scena, negli anni più bui e turbolenti del Medioevo che termina dove “I pilastri della terra” hanno inizio.

RECENSIONE

Non è facile commentare un’opera di un mostro sacro come Ken Follett, soprattutto per me che conoscevo quasi esclusivamente i suoi romanzi di spionaggio, a partire dal magistrale La cruna dell’ago.

Questo Fu sera e fu mattina, prequel de I pilastri della terra, mi ha subito colpita con il ricciolo di un drakkar in copertina, e a lettura conclusa devo dire che non mi ha certo delusa.

L’incipit è di quelli con il botto: siamo nel 997 d.C. e da duecento anni i vichinghi sono il flagello delle coste britanniche. Edgar, il giovane protagonista, figlio di un costruttore di barche, si allontana nottetempo da casa – siamo a Combe, che si affaccia sul canale della Manica – per fuggire con la sua amata, Sunni, e sottrarla al marito che la maltratta. Mentre la aspetta sulla spiaggia, i vichinghi attaccano dal mare: Edgar riconosce le loro navi, da esperto costruttore qual è, e dà l’allarme suonando le campane del vicino monastero; purtroppo, il suo gesto coraggioso non basterà a mettere in salvo tutte le persone che ama.
I vichinghi, come loro abitudine, saccheggiano e bruciano tutto quello che trovano per poi ritirarsi con il bottino e, alla fine della razzia, anche il cantiere del padre di Edgar è bruciato tra le fiamme. Così lui, con quello che resta della sua famiglia, per sopravvivere è costretto ad accettare l’aiuto dell’aldermanno che concede loro un podere in affitto in un villaggio poco distante. Il risultato è che una prospera famiglia di costruttori di barche è costretta a reinventarsi contadina, sotto la guida della madre Miriam, nata proprio in un podere. Grazie alla sua determinazione, i tre figli troveranno ciascuno la propria strada; in particolare Edgar, con la sua intelligenza e capacità di adattamento, troverà il modo di tornare alla sua attività di artigiano, districandosi tra mille disavventure

Gli ingredienti, ormai collaudati, che l’autore assortisce magistralmente ci sono tutti: uomini del popolo che si rivelano geniali e ambiziosi artigiani dall’etica saldissima, monasteri come luoghi pieni di vita e fonte di prosperità (se governati da priori illuminati), incertezza e guerra nel mondo “laico”, e soprattutto personaggi femminili straordinari, pieni di risorse, che non si arrendono mai. E il tutto contornato da vicende storiche spesso drammatiche, ingiustizie, soprusi, sete di potere

Personalmente ho amato questo grande affresco storico in cui brilla l’intelletto umano, nel bene e nel male, e la capacità dell’uomo di reinventarsi continuamente, di rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro in una lotta continua contro catastrofi naturali, vicende divine e terrene e, non ultime, anche la pura malvagità o avidità degli altri esseri umani. Mi riesce difficile spiegare più dettagliatamente perché mi sia piaciuto questo romanzo storico che affascina senza mai stancare e che ci parla, come tutti i romanzi di questo genere dovrebbero fare, di quello che siamo stati ma anche di quello che siamo, e ci racconta da dove veniamo ma anche dove stiamo andando.

E a proposito di dove stiamo andando, lasciate che vi parli di un argomento che mi sta molto a cuore. Sappiamo tutti che nell’antichità la violenza era molto più diffusa tra gli uomini, e molto più tollerata, è un dato di fatto; ultimamente noto un certo presentismo nel valutare gli eventi del passato, anche nei romanzi storici ovvero in ambiti in cui maggiore dovrebbe essere la consapevolezza che i diritti umani, così come li conosciamo oggi, sono una conquista molto recente e che anche i comandamenti più elementari, come “non uccidere”, sono stati molto a lungo secondari rispetto al volere della politica o della brama di ricchezza… Invece in questo romanzo ho molto apprezzato che, senza scendere nei particolari che potrebbero rivelare troppo sulla trama, la violenza venga vissuta dai protagonisti con un atteggiamento che appare consono ai tempi, come qualcosa che faceva parte della vita e con cui bisognava convivere – oserei dire con rassegnazione, anche se mai con indifferenza.

Un altro ambito in cui spesso si incontra una scarsa considerazione della realtà storica nella quale si sviluppa la vicenda narrata è quello della condizione femminile; troppo spesso ho letto di protagoniste, ad esempio, con pensieri e ambizioni che nella loro epoca non avrebbero potuto nemmeno concepire, mentre in questo romanzo ci sono semplicemente donne dalla forte personalità che combattono con le armi che hanno a disposizione: dalla madre di Edgar, Miriam, umile contadina, alla nobile Ragna, che dall’elegante Cherbourg si sposta nella rozza Britannia per amore senza sapere a cosa andrà incontro… Personaggi straordinari come tante donne che sicuramente sono esistite nel corso della storia, alle quali dobbiamo le conquiste dei nostri giorni (anche se la strada da fare è ancora lunga) e che le cronache ufficiali hanno sempre censurato, e ancora oggi se ne parla come se fossero l’eccezione, mentre il buonsenso ci suggerisce che queste donne intelligenti e volitive siano sempre esistite, oggi come ieri, e che grazie anche all’aiuto di uomini altrettanto intelligenti e coraggiosi, come Edgar e il monaco Aldred, siano state le artefici delle conquiste di cui oggi godiamo.

Merita qualche riga la protagonista femminile indiscussa del romanzo, Ragna, figlia del Conte Hubert che, nata a Cherbourg, ci mostra lungo il suo viaggio verso la Britannia e poi per tutto il romanzo le differenze che all’epoca esistevano tra i due lati della Manica, a tutto vantaggio del lato francese sia dal punto di vista delle tecniche edilizie che dell’allevamento e dell’agricoltura, ma anche del diritto di famiglia; assistiamo anche al suo turbamento quando scopre dell’esistenza della schiavitù, pratica ormai abbandonata in Francia. Ho apprezzato molto il suo punto di vista “da straniera”.

Concludendo, da un lato chi ama Ken Follet ritroverà in questo libro quasi un’aria di famiglia: e non solo perché essendo un “prequel” di poco più di un secolo vi ritroverà personaggi e luoghi che gli sono familiari, per averli già, per così dire, conosciuti e apprezzati; no, c’è molto di più. C’è la sensazione del “divenire” storico, nel senso della prospettiva evolutiva che permette da un lato di contestualizzare fatti e personaggi (sfuggendo all’insidia del già citato presentismo) e dall’altro di individuare i prodromi di ciò che sarebbe seguito: per esempio, nel caso della estraneità della mentalità francese alla dimensione della schiavitù, come non pensare al movimento di pensiero che sarebbe passato alla storia come “illuminismo”? E quindi ad una cultura che ha espresso Montaigne e Rousseau, Montesquieu e Voltaire? E come non lasciarsi tentare dalla lettura degli altri volumi della saga, se non lo si è ancora fatto? Una lettura piacevole e avvincente, ma anche molto profonda… Non si può chiedere di più.   


Amate anche voi questo autore? Vi ispira questo libro?
Fatemelo sapere nei commenti.

Alice Croce Ortega


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Comments (3)

  • FEDERICO OLIVIERI

    Il romanzo di Follett è molto avvincente. È vero che ti prende per la gola e non smetteresti mai di leggere. La violenza, il sesso e la volgarità presenti, seppur in certi casi esagerati, descrivono o cercano di farlo, secondo me con successo, un periodo della storia umana in cui la sopraffazione era quotidianità. Non mancano però gli sprazzi di luce, di personaggi come Edgar, Aldred e soprattutto Ragna. Chi afferma che il libro eccede in certi casi, se ha letto gli altri tre romanzi, dovrebbe ammettere che questo romanzo si inserisce perfettamente nel solco degli altri tre, però con la differenza di raccontare storie più quotidiane e minime rispetto alle epiche vicende della Colonna, del mondo senza fine e anche dei pilastri, dove tutto era incentrato sulla costruzione di qualcosa di grandioso, un ponte, una cattedrale o eventi comunque epici. Qui è in gioco il riscatto dell’uomo, dalla sua condizione “umana”, fatta di violenza, di avidità e falsità. Ma questo non avviene con la costruzione di un’opera magnifica, o grazie ad azioni eroiche; l’opera è in sé la storia di questi personaggi e il loro lottare continuo. Diceva Follett nella prefazione a Mondo senza fine di prepararsi ad entrare in un periodo buio, maleodorante e violento. Quello descritto qui è l’alto medioveo

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