REVIEW PARTY: Fiori di loto di Manuela Chiarottino

TITOLO: Fiori di loto
AUTRICE: Manuela Chiarottino
EDITORE: Buendia Books
PAGINE: 108

TRAMA:
Perdere o vedere irrimediabilmente cambiata una parte di sé, a causa di un male crudele o di un destino scritto da qualcun altro, è un’esperienza traumatica che segna nell’intimo. Segni e cicatrici tatuano la pelle e non solo, scavano nell’animo e minacciano di chiudere il cuore, facendoci dubitare dell’immagine di chi eravamo, chi siamo e saremo. Da una ferita, però, può sbocciare una vita nuova, con radici ancora più profonde e variopinte, così forte da ergersi oltre il fango dei ricordi e le paure, schiudendo i petali su un mondo tutto da esplorare. Laura ha subito la mastectomia e sta reinventando una seconda esistenza, ma qualcosa le impedisce di aprirsi davvero alle possibilità che ha di fronte e forse all’amore. Ah-lai conserva sul viso le tracce di una storia lontana, e nei piedi le conseguenze della fasciatura; fluttua come un giunco nel vento, eppure il suo spirito non si è mai spezzato, nemmeno dopo aver provato la fugace gioia di un sentimento travolgente. Un incontro nato quasi per caso, nutrito dalla condivisione, dai racconti e una nuova consapevolezza del proprio Io: un’amicizia delicata come il loto e altrettanto preziosa, tenace e indimenticabile. Presentazione di Mariangela Camocardi.

RECENSIONE

Sopravvivere alla morte è sicuramente un percorso traumatico per tutti: affrontare un calvario di interventi molto delicati mette a dura prova la forza, non solo fisica, ma anche psicologica di una persona. La commovente vicenda di Laura ci fa sentire profondamente la sofferenza di una donna che affronta con coraggio la deturpazione del suo corpo, che inizialmente le farà osservare solo cieli ovattati di rame che la condurranno passo dopo passo a labirinti mentali senza via di fuga. Durante il calvario della mastectomia dolore e rabbia le faranno da padroni, soprattutto perché il sentimento di Guido  si rivelerà inconsistente nel momento in cui i medici le spiegheranno gli eventuali rischi di una ricostruzione della ghiandola mammaria; la nostra protagonista proverà un fortissimo senso di impotenza e la scelta della separazione non la farà star male sentimentalmente, bensì moralmente.
A volte, però, i momenti difficili servono a farci crescere e maturare e Laura è come l’araba fenice che risorge dalla sue stesse ceneri, dalla traumatica esperienza del cancro al seno resetta la sua vita precedente: decide di lavorare in una biblioteca (ambiente congeniale e terapeutico), interrompe la sua relazione con Guido e riscrive paragrafo dopo paragrafo il diario della sua storia.
La nostra protagonista, orfana di madre, è sempre stata molto sottomessa alle direttive materne sull’alimentazione e sul vestiario – un’educazione molto restrittiva visto che la madre era un’indossatrice. Questa storia viene disvelata passo dopo passo al lettore mediante l’espediente letterario della “storia nella storia”, tanto è vero che Laura confiderà il suo passato all’altra protagonista del romanzo, una anziana donna, Al-hai, soprannominata Giglio d’Oro, la quale sin da bambina è stata menomata di una parte fondamentale del corpo umano: i piedi. Le dita le sono state fasciate costringendola in una posa innaturale secondo un’antica tradizione cinese che assimilava i piedi ai fiori di loto e a un metallo prezioso come l’oro; l’idea secondo la quale veniva praticata questa antica usanza era che i piedi piccoli fossero simbolo di bellezza e purezza, quindi una donna veniva reificata a un mero oggetto di erotismo e passione sottomessa all’egemonia maschile esercitata dall’uomo, al quale spettava la facoltà di poter agire liberamente.
Quali canoni estetici reali stabiliscono che una donna debba necessariamente ancheggiare con dei tacchi e indossare una mini gonna o uno stretto tubino per essere considerata agli occhi di tutti indiscutibilmente attraente e avvenente? L’idea di bellezza è stata sempre preconfezionata con determinati modelli prestabiliti, fuori dai quali ogni persona incombe in un giudizio negativo a partire dal gruppo sociale di appartenenza. Questo meccanismo di mortificazione del corpo femminile non riguarda solo l’apparente vanità della nostra società, tanto è vero che la sofferenza di Alhai, bambina sacrificata e giovane promessa sposa a un uomo ricco, è lo scotto di un pacchetto orripilante di canoni estremi di bellezza che certamente non ornano orribilmente solo la cultura occidentale, ma anche quella orientale. Il senso di colpa provato dalla giovane Laura per la scelta di non ricostruire la mammella, simbolo di femminilità e di maternità, è ancorato al controllo inconscio del fantasma maschilista che ci invade in molti aspetti della nostra vita quotidiana, perfino  in alcune argomentazioni costruite ad hoc da un immaginario collettivo maschile che impera e si erge come essere giudicante sulle qualità che una donna deve obbligatoriamente incarnare.

Il romanzo Fiori di loto  di Manuela Chiarottino suscita diversi spunti riflessivi (come quello succitato), tra i quali spicca in particolare lo stesso fiore di loto, che pur crescendo nel fango e nel letame ha petali forti e robusti e pigmenti naturali che trascendono il bianco, simbolo di freschezza e purezza. In questa narratio vivendi il fiore di loto è dunque un metaforico pretesto per disquisire dell’impervio e secolare dibattito sui diritti della donna, non più inteso come sesso debole (romanzi come Una donna di Sibilla Aleramo e Casa di bambola di Ibsen ce lo rammentano), semmai, invece, come persona avente uguali opportunità rispetto all’uomo: ogni donna dovrebbe essere libera di vivere, scegliere e amare, libera di restare o di partire, di studiare e di lavorare. E – ribadisco –  la questione non riguarda solo questa estrema nicchia di mondo  che noi occidentali definiamo “orientale”, in realtà il condizionamento subdolo nei riguardi del “sesso debole”  è globale, basti pensare che in Italia le donne votarono per la prima volta il 2 giugno del 1946 durante il referendum atto a scegliere fra Monarchia o Repubblica (quindi in un tempo storico recente).
Questo avvincente romanzo valorizza la nostra forza come genere capace di essere motore inesauribile e inestinguibile della società: la femminilità germoglia nell’essere madre, nell’essere figlia, nell’essere moglie giammai perfette dunque soggette a errori, cicatrici, lividi e a cadute e da queste ultime noi ci rialziamo coraggiosamente.
Manuela Chiarottino si interroga chiedendosi l’essenza dell’unità di misura dell’anima e Laura, la protagonista, fa morire il seme del cancro che la stava per seppellire anche psicologicamente e sboccia nel suo cuore, dal lerciume della sua derealizzazione e spersonalizzazione, il timido e candido bocciolo di un sé dormiente che ella sconosceva.
Le protagoniste della vicenda indagano dentro se stesse e trovano la verità dulcis  in fundo nella pacatezza di una chiacchierata davanti un tè caldo, laddove ciò diventa una possibilità di scoperta l’una dell’altra e delle ambiguità delle proprie culture, alla stessa stregua di Naomi e Rut del testo biblico; ancora oggi l’universo femminile è tutto da scoprire, e ne è stato messo in luce appena una millesima percentuale di un millesimo.

Sabrina Santamaria


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