RECENSIONE: Dilettanti.com di Andrew Keen

TITOLO: Dilettanti.com
AUTORE: Andrew Keen 
DATA DI PUBBLICAZIONE: 2009
PAGINE: 286
TRAMA:
La rivoluzione del Web 2.0 ha promesso di diffondere a un numero sempre più ampio di persone una sempre più ampia conoscenza, ma in ogni momento ci si interroga sull’affidabilità, l’accuratezza e la verità delle informazioni che troviamo in rete. Allo stesso tempo le nostre più preziose istituzioni culturali – quotidiani, riviste, il mondo della musica e del cinema – sono minacciate da una valanga di contenuti amatoriali gratuiti generati dagli utenti. Se siamo tutti dilettanti, non ci sono più esperti. Wikipedia incontra MySpace che incontra YouTube: la democratizzazione dei mezzi di comunicazione sta indebolendo e minimizzando competenza, esperienza e talento. La cultura del “copia-incolla” del Web 2.0 sta formando una generazione di intellettuali cleptomaniaci, che pensa si possano esprimere le proprie opinioni grazie all’abilità di tagliare e incollare a piacimento. Il diritto d’autore viene minacciato e la proprietà intellettuale è liberamente scambiata, scaricata e remixata, artisti, scrittori, giornalisti, musicisti, redattori e produttori sono derubati del frutto del proprio lavoro creativo. Le reti televisive subiscono l’attacco della programmazione autoprodotta di YouTube; il file-sharing e la pirateria digitale hanno devastato l’industria multimiliardaria della musica e ora minacciano di distruggere anche quella del cinema. In meglio o in peggio i media democratizzati del Web 2.0 stanno rimodellando il nostro panorama intellettuale, politico e commerciale.

RECENSIONE

Andrew Keen gioca a fare il provocatore e – con voce tagliente e senza peli sulla lingua – riesce perfettamente nel suo intento.
Dilettanti.com è il manifesto dei pessimisti del Web 2.0, il grido d’allarme di profeti che prevedono le sventure portate dagli utopisti della Silicon Valley; il suo autore ha vinto contro l’effetto seduttivo di un sogno irrealizzabile e dai tratti distopici… un incubo, insomma. Negli anni ’90 Keen è stato infatti, per sua stessa ammissione, uno dei pionieri della “prima corsa all’oro di Internet”: fondò Audiocafè.com, uno dei primi siti di musica digitale; il suo sogno era trasmettere musica da ogni possibile supporto tecnologico, “ascoltare l’intera opera di Bob Dylan con il computer, scaricare i Concerti Brandeburghesi di Bach sul mio telefono cellulare”.
Cosa gli ha fatto aprire gli occhi? Perché ha abbandonato il lato dei visionari per avvicinarsi ai detrattori, fino a diventarne addirittura il re? A detta di Keen, la colpa fu di un FOO (Friends of O’Reilly), un evento esclusivo che raccoglie adepti di una fede messianica nei benefici economici e culturali della tecnologia.
Il camp aveva una sola regola: non c’erano regole. Niente spettatori, solo partecipanti. Tutti, proprio tutti, avevano il diritto di dire la loro. La democratizzazione suprema, il sogno di molti. L’incubo di Keen.

Dopo questa alquanto suggestiva presentazione dell’autore e delle sue origini, vorrei sottolineare che i temi trattati nel libro Dilettanti.com sono molteplici e tutti parecchio complessi. In questa recensione vi parlerò principalmente del libro come opera e vi esporrò il mio parere su alcuni argomenti; per il resto vi invito a consultare i testi che trovate alla fine dell’articolo.

Premessa fondamentale: Andrew Keen non ha previsto il futuro in toto. Ha, anzi, toppato parecchi dettagli; su alcuni elementi, invece, ci ha visto giusto.

In quest’opera l’autore non fa sconti a nessuno e passa in rassegna – con grande sincerità, a volte rasentando addirittura i limiti della maleducazione – quasi tutti i componenti – tecnologici e umani – del Web 2.0: Keen parla di Wikipedia e dei suoi fondatori, Sanger e Wales; critica il giornalismo partecipativo e la cultura dei blog; attacca la pirateria e la incolpa del declino degli store fisici, del cinema e della produzione musicale stessa.
La democratizzazione dell’espressione per Keen non vale, perché solo chi sa può parlare. Chi non sa dovrebbe, quantomeno, prima ascoltare, imparare e poi, forse forse, valutare di esprimere un parere. Ma senza titoli farebbe comunque meglio a stare zitto.
Il discorso di Keen è appassionato, il futuro dell’informazione e della cittadinanza gli stanno profondamente a cuore, è aggressivo, non teme di suscitare reazioni negative… anzi, le cerca appositamente. Il suo obiettivo è smuovere le coscienze.
La scienza non è democratica, l’arte nemmeno. Keen odia le bufale, odia gli incompetenti e odia chi permette a questi di diffondere falsità.
Attenzione: Keen non condanna a priori il Web 2.0, bensì si scaglia contro la deriva verso cui questo sembra volgere.

Andrew Keen aveva ragione? Uso un passato per un motivo ben specifico: Dilettanti.com uscì nel 2008/2009, quindi ormai più di un decennio fa. Il mondo nel frattempo è cambiato, il Web è cambiato, e possiamo forse tirare qualche somma. Keen ci ha azzeccato? La distopia che ha previsto si è realizzata?
Solo in parte sì: a mio parere Keen ha centrato perfettamente alcuni temi caldi, scottanti, da ustioni – primi tra tutti la circolazione di fake news e l’incapacità di molti utenti di riconoscerle. Ha toppato sull’età di chi ci casca, però: per lui i giovani sarebbero stati le vittime perfette, mentre oggi i dati dimostrano che gli adulti – con una alfabetizzazione digitale inferiore – si lasciano ingannare più facilmente.
Keen ha sicuramente sollevato il problema dell’autorità: il mio parere sui rischi delle centrali nucleari non è equiparabile a quello di un ingegnere nucleare, e purtroppo in ambito scientifico oggi soffriamo molto le conseguenze di questa “sfiducia nell’autorità”, tanto che spesso prevale il bisogno – ingiustificato e dannoso – di esprimere una nostra opinione su argomenti sui quali siamo drammaticamente ignoranti.
Diverso è forse il discorso sull’arte, ambito in cui la soggettività gioca da sempre un ruolo di rilievo.
Keen ha indovinato anche la previsione sul “mare magnum del Web”: dove c’è troppa “roba” nessuno trova niente con facilità.
[E qui potremmo fare un bel discorso sugli autori emergenti… ma lo rimandiamo a un’altra volta.]

Quali sue previsioni invece non si sono realizzate? Per fortuna l’uomo è stato meno stupido di quanto Keen avesse ipotizzato, siamo stati perciò in grado di rimediare ad alcuni errori degli albori del Web 2.0: ci siamo, insomma, evoluti.
Wikipedia, per esempio, non è il marasma sconclusionato di informazioni errate e artigianali che aveva previsto Keen: la celebre enciclopedia collettiva vanta, al contrario, un tasso di attendibilità statisticamente identico a quello della prestigiosa Enciclopedia Britannica.
Così come, a mio parere, Keen ha esagerato sui danni provocati da pornografia, videogiochi e giochi “di seconda vita” (creazione di identità digitali, tipo Second Life); ha sottovalutato invece i rischi della personalizzazione e le conseguenze in ambito politico.

Nell’insieme, Andrew Keen non mi ha convinta di tutte le sue idee, l’ho trovato troppo rigido e poco aperto al confronto; tuttavia questa sua opera spinge – obbliga – alla riflessione, pertanto ne consiglio la lettura a chiunque sia interessato al tema. 

Fatemi sapere cosa ne pensate.

ALEX


LETTURE CONSIGLIATE:

Il grande inganno del Web 2.0 di Fabio Metitieri;
What is Web 2.0 di Tim O’Reilly;
La coda lunga di Chris Anderson;
Cultura convergente di Henry Jenkins;
I troppi libri di Gabriel Zaid.


Andrew Keen, recensione, Web 2.0

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