NEWSMAKING: il mito dell’obiettivà giornalistica

L’informazione mediatica non è mai oggettiva. L’obiettività di giornalisti e redattori nel fare informazione è solo un mito… un mito che sbiadisce di fronte all’evidenza del processo di newsmaking.

Buongiorno a tutti, lettori!
Dopo questa apertura piuttosto drammatica, vorrei spiegarvi il tema dell’articolo di oggi: parleremo di newsmaking, ovvero dei processi di produzione delle “notizie“, e cercheremo di capire come nulla di ciò che leggiamo/vediamo/sentiamo sia mai neutro e neutrale.

L’intero percorso di una notizia, dalla raccolta alla presentazione, è sottoposto a una distorsione involontaria (il cosiddetto unwitting bias), causata dalle routine interne alle organizzazioni dei media e dalle linee editoriali-politiche delle varie testate.

Iniziamo focalizzandoci sul primo passaggio: la raccolta delle notizie. Chi fornisce le news alle redazioni? Da dove arrivano gli aggiornamenti? Il giornalista “a caccia di notizie” è un altro mito da sfatare: sempre più il lavoro del giornalista è un’attività svolta “a tavolino”, poiché le notizie arrivano in redazione dai dispacci d’agenzia. Mi riferisco ad agenzie di stampa nazionali – ANSA – e internazionali – Associated Press, Agence France Press, Reuters, ITAR-TASS, Kiodo – nonché alle fonti istituzionali, come Parlamento o Questura.
Qui si presenta una prima debolezza del sistema, ovvero l’omogeneità delle notizie che di base vengono portate all’attenzione dei media.
Una seconda incrinatura è individuabile nel rapporto media-politica, strutture che vivono una relazione quasi biunivoca: i giornalisti spesso sfruttano fonti istituzionali per avere aggiornamenti rapidi e (circa) affidabili; d’altro canto chi ha potere economico o politico cerca di arrivare ai giornalisti per ottenere visibilità e legittimazione sociale. E così i vari partecipanti a questa “danza” concorrono per costruire una peculiare “definizione della situazione”, per far passare i loro interessi/ il loro punto di vista come… fatti.

Per quanto riguarda la fase di selezione delle notizie, qui entrano in gioco i criteri di notiziabilità, che riguardano in parte i tempi di produzione (i media sono aziende che devono produrre continuamente) e l’attrattiva per l’audience. Cerco di riassumerveli velocemente:
– rilevanza delle nazioni e delle persone coinvolge (gli USA fanno notizia, l’Azerbaijan un po’ meno; Salvini fa notizia, io no);
– prossimità geografica e culturale, impatto sulla nazione e sull’interesse nazionale (gli USA dichiarano guerra alla Russia –> importantissimo!; l’Uruguay entra in guerra contro il Paraguay –> un po’ meno importante per noi);
– quantità di persone coinvolte (300 morti sono meglio di 2);
– rilevanza e significatività di un evento riguardo agli sviluppi futuri di una determinata situazione (se l’evento si inserisce in una narrazione più ampia tanto meglio).


A questi si aggiungo altri criteri, che tornano utili per presentare al meglio le notizie.
Un fatto è tanto più apprezzato da una redazione quanto più è nuovo, negativo, frequente e breve, con ottimo materiale audio-visivo a disposizione.

Quando viene riportata una notizia, difficilmente ci si limita a un’esposizione dei soli fatti recenti, spesso si tende anzi a tematizzare l’evento, inserendolo all’interno di una storia più ampia (es. furto compiuto da un immigrato diventa pretesto per parlare di immigrazione in generale). Le notizie vengono inoltre spettacolarizzate, enfatizzate, racchiuse in una cornice in cui fiction e realtà si mischiano… gli eventi vengono raccontati come puntate di una lunga soap opera (vedi Salvini come personaggio dalla tinte fosche). A questo contribuisce anche un processo di personalizzazione, grazie al quale si danno volti riconoscibili a temi complessi e astratti, “umanizzando il problema”.

I diversi media sono poi, chiaramente, in costante gara l’uno con l’altro, si inseguono e si sorpassano continuamente, sottolineando il valore della velocità dell’informazione… velocità che, a volte, va a discapito del controllo del contenuto (vedi La Repubblica che parlò di un Di Maio sofferente in ospedale… fake news).

Insomma, il mito dell’obiettività nel fare informazione è, appunto, solo un mito.

Fatemi sapere cosa ne pensate,

ALEX


Spero che il tono piuttosto didattico di questo post non vi abbia annoiati: ho cercato di essere più il chiara e neutrale possibile, evitando giudizi o polemiche inutili. Prossimamente pubblicherò un altro paio di articoli per sviluppare ulteriormente l’argomento, analizzando prima il significato sotteso di scelte lessicali, grammaticali e sintattiche, per passare poi a un confronto tra realtà fattuale e realtà percepita.
Ribadisco che lo scopo di questi post è informativo e riflessivo, non polemico.


 

comunicazione, cultura, giornalismo

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